Ma che aspettate a batterci le mani, a metter le bandiere sul balcone? Sono arrivati i re dei ciarlatani, i veri guitti sopra un carrozzone. … E non temete se la notte è scura: abbiamo trenta lune di cartone… Oggi è il giorno in cui Bob Dylan vince il premio Nobel per la letteratura, lo
Ma che aspettate a batterci le mani,
a metter le bandiere sul balcone?
Sono arrivati i re dei ciarlatani,
i veri guitti sopra un carrozzone.
…
E non temete se la notte è scura:
abbiamo trenta lune di cartone…
Oggi è il giorno in cui Bob Dylan vince il premio Nobel per la letteratura, lo stesso giorno in cui un altro uomo straordinario, anche lui premio Nobel per la letteratura, lascia questo mondo: Dario Fo se ne è andato senza salutare, mannaggia a lui!
Un artista a tutto tondo che rimarrebbe inorridito nel leggere parole come queste, riottoso per natura alle celebrazioni, refrattario alla banalizzazione che rende belli e bravi tutti quando muoiono. Ma la sua arte, multiforme e varia, ha cresciuto e formato troppi di noi per rimanere in silenzio e salutare in maniera composta, lui che di composto non aveva nulla, folle guitto, genio speciale, creatore di prose infinite e spettacolari, da non averne mai abbastanza.
“Facciam cantare gli orfani
Le vedove che piangono
E quelli che dimostrano [E gli operai in sciopero]
Lasciamoli cantare
Facciam cantare gli esuli
Quelli che passano le frontiere
Assieme agli emigranti
Che fanno i minator”.
Una strofa della sigla di Canzonissima del 1962 quando, in maniera sorprendente la RAI affidò a Dario Fo e Franca Rame la conduzione dello spettacolo del sabato sera abbinato alla Lotteria di Capodanno, salvo poi ricredersi, avere paura e scippare dalle loro mani lo show. Un passo in avanti e diecimila indietro. Qui, in queste parole, nella spinta rivoluzionaria della cultura in prima serata, risiede tutto il pensiero di Dario Fo, nella sua maniera mai consueta di interpretare la realtà, lui voce dissenziente rispetto al comune sentire degli Italiani, lui genio controcorrente, lui che ora ci lascia con un problema grande grande: chi da oggi interpreterà le sue opere, chi saprà impadronirsi del suo linguaggio, del suo stile, chi saprà rendere viva la prosa di un attore che diceva, recitava le parole con il corpo ancora più che con la voce?
Difficile immaginare altri interpreti per Mistero Buffo, difficile scovare qualcuno di credibile nelle vesti di Johan Padan a la descoverta de le Americhe, l’opera per cui chi scrive tanto lo ha amato. Forse di Dario Fo dovremmo ritirare la maglia, affinché la sua arte venga consegnata alla sacralità del ricordo e non al vilipendio degli emuli. Chissà?
Oggi Jacopo, il figlio di Dario e Franca eredita un immenso patrimonio culturale.
Personalmente non voglio dimenticare la cosa che lo ha reso ai miei occhi unico: il suo amore per la sua compagna di vita. Un amore profondo, unico e grande, più grande del mondo, quell’amore che, lui disse, valse talmente la pena vivere da accettare anche la morte, per poter vivere anche il dolore dell’amor perduto.
Lo voglio salutare così, con una frase recitata da Franca Rame in “Sant’Ambrogio e l’invenzione di Milano”, talmente bella da essere un gioiello:
”Ti sembro allocchita, un po’ idiota, senza ombra di intelligenza alcuna”?
A Dario Fo non diremo mai grazie abbastanza, grazie per l’intelligenza.
Elena Miglietti
[Fonte Immagini: google immagini]
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