Le varietà vegetali e animali che i nostri nonni mangiavano sono molte di più di quelle che possiamo consumare noi oggi. Secondo la Fao, infatti, dall’inizio del Novecento è scomparso il 75% delle colture agrarie: delle 7000 varietà di mele le più diffuse attualmente sono appena quattro, siamo passati da 307 varietà di mais a
Le varietà vegetali e animali che i nostri nonni mangiavano sono molte di più di quelle che possiamo consumare noi oggi. Secondo la Fao, infatti, dall’inizio del Novecento è scomparso il 75% delle colture agrarie: delle 7000 varietà di mele le più diffuse attualmente sono appena quattro, siamo passati da 307 varietà di mais a 12, da 497 a 36 insalate, e così via. Lo stesso discorso vale per le razze animali allevate per la produzione di carne e latte: oggi ne esistono circa 7600 ma di queste il 20% rischia di estinguersi. Le coltivazioni e gli allevamenti standardizzati sono più facili da gestire e danno maggiori risultati nell’immediato ma non sono una scelta lungimirante: le varietà locali, infatti, si adattano meglio alle caratteristiche dei territori d’origine e possono salvaguardare le comunità indigene e le loro economie.
La biodiversità, però, non è solo questo. Risulta importante tutelare anche un altro aspetto, che viene spesso lasciato in disparte, cioè quello dei saperi e delle tecniche tradizionali di produzione del cibo. Un insieme di dettagli, gesti e conoscenze, spesso orali, che sono stati tramandati di generazione in generazione ma oggi rischiano di essere schiacciati da metodi di produzione industriali.
Dal 1999 Slow Food si è impegnata nel progetto dei Presìdi, dapprima catalogando centinaia di cibi a rischio di estinzione e successivamente incontrando contadini, pescatori, artigiani per promuovere i loro prodotti, il loro lavoro e i loro saperi. Oggi i Presìdi Slow Food nel mondo sono ben 450 e circa 50 di questi sono presenti a Cheese 2015, a Bra dal 18 al 21 settembre. Si tratta ovviamente di produzioni lattiero-casearie, provenienti sia dall’Italia sia dal resto del mondo. Fra gli internazionali avremo con noi il Presidio inglese del Cheddar artigianale del Somerset e l’Oscypek polacco, il latte di cammello dei pastori Karrayyu dall’Etiopia e lo Sbrinz d’alpeggio svizzero. Dall’Italia si potranno trovare, fra gli altri, il caciocavallo podolico della Basilicata e la vacca bianca modenese, il pugliese pallone di Gravina e il puzzone di Moena dal Trentino.
Ospiti d’eccezione alla Casa della Biodiversità, sabato 19 alle ore 17, sono Maria Antonia Brito, Elizabeth Noemi Medina e Marta Nuñez, in rappresentanza del Presidio argentino del formaggio di capra di Tucumán. Donne tenaci che con la loro produzione resistono concretamente all’avanzata della soia gm e delle monocolture delle multinazionali, semplicemente allevando le loro capre criolle al pascolo, nutrendole con l’erba dei boschi.
Oltre ai Presìdi che il pubblico delle nostre manifestazioni conosce bene, quest’anno a Cheese partecipano i due nuovi arrivati in casa Slow Food: il Presidio dello Skyr tradizionale islandese e quello della capra orobica lombarda, presenti nel Mercato dei Presìdi e in degustazione domenica 20 alle ore 12 presso la Casa della Biodiversità.
Skyr tradizionale – Islanda
Lo Skyr è un formaggio fresco a base di latte vaccino acido che ha origini antichissime, infatti già più di mille anni fa era parte integrante della dieta dei primi insediamenti in Islanda. A renderlo particolare è l’aggiunta alla cagliata di un po’ di Skyr rimasto dalla produzione precedente, che agisce come fermento: è proprio l’utilizzo dello Skyr e del latte crudo a differenziare la produzione artigianale da quella industriale. Oggi lo skyr si consuma insaporito con zucchero e gustato a colazione o come spuntino con l’aggiunta di panna liquida o latte. Le sue qualità nutrizionali sono eccezionali, in quanto possiede un alto contenuto proteico e non contiene grassi. L’obiettivo del Presidio è promuovere la ricetta tradizionale, facendolo riscoprire ai consumatori e coinvolgendo i piccoli produttori e allevatori locali nel nuovo sviluppo dell‘economia rurale islandese. Area di produzione sono sia la costa ovest (vicino a Reykjavik) e la costa est dell’isola.
Capra orobica – Lombardia
Originaria della Val Gerola, in provincia di Sondrio, la capra orobica ha corna imponenti, orecchie lunghe e oblique sul volto e pelo folto e di colore grigio, beige, nero, marrone oppure pezzato. Con il suo latte si producono formaggi a latte crudo senza l’utilizzo di fermenti industriali come il Formagìn della Valsassina, il Matuscin della Valtellina e la Raviola della Val Brembana. Un tempo ogni famiglia possedeva alcuni capi di orobica la cui rusticità li rendeva adatti ad essere allevati sui pascoli impervi di montagna. Oggi questa razza è allevata con metodo tradizionale da piccoli produttori mediante un sistema di allevamento che prevede il pascolo primaverile-autunnale, l’alpeggio estivo e la possibilità per gli animali di accedere a spazi aperti nei periodi freddi. Area di produzione: Alpi Orobiche e le limitrofe aree prealpine in provincia di Sondrio (Val Gerola), Lecco (Valsassina, Valvarrone e Alto Lario orientale) e Bergamo (Alta Val Brembana).
Se questa anticipazione vi ha fatto già venire l’acquolina, seguiteci nei prossimi giorni, vi racconteremo qualcosa in più entrando nel vivo della manifestazione.
Redazione ArtInMovimento Magazine
[Fonti delle immagini: slowfood.it, fondazioneslowfood.it, slowfood.com, formaggiobritto.com]
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