L’armoniosità del Teatro Carignano di Torino stasera è contaminata. Di fronte al pubblico si staglia la scenografia di Clitennestra diretta da Vincenzo Pirrotta. Elemento di contraddizione rispetto alla sontuosità della teatro, finestra su un mondo fuori dal tempo e dal nostro universo, fa sentire la sua presenza con quel suo silenzio e i fenomeni di pareidolia
L’armoniosità del Teatro Carignano di Torino stasera è contaminata.
Di fronte al pubblico si staglia la scenografia di Clitennestra diretta da Vincenzo Pirrotta. Elemento di contraddizione rispetto alla sontuosità della teatro, finestra su un mondo fuori dal tempo e dal nostro universo, fa sentire la sua presenza con quel suo silenzio e i fenomeni di pareidolia che induce allo spettatore più curioso.
Una persona in particolare si presta ora alla visione dello spettacolo: George Miller, fautore del post-apocalittico. Egli ancora non sa che da lì a poco incontrearà la sua musa ispiratrice.
Girone 1
Dal profondo oscuro della mitologia greca riemerge una sirena.
Fusa nell’anima di Anna Bonaiuto, decanta quella tragedia che fu la sua vita terrena.
Il genio sta nascendo, gli occhi del nostro ignaro spettatore si illuminano di fronte a una visione così straziante, carica di quell’abisso di incomunicabilità che affligge l’uomo contemporaneo e che la stessa attrice riesce a esprimere egregiamente nel suo soliloquio, pervaso della forza della vita che si riaccende in lei, vita così breve che non ci lascia il tempo di spiegare il perché delle nostre azioni, travolti dalla frenesia delle lancette, puntino invisibile, istante unico nel cerchio dell’eternità.
Ma Clitennestra è la speranza che riempie il cuore, si trova ora in un luogo che non le appartiene, decisa ad affrontare il limbo nel quale vaga.
Ecco che la fiamma che si accende nell’immaginazione del futuro genio, che altro non può fare che vomitare a fiotti il suo estro sull’area scenica.
Si staglia cosi, in scena la feccia del nuovo mondo. Intrappolati nella morsa dei costumi di Giuseppina Maurizi strisciano come vermi Odette Piscitelli, Giulia Andò, Roberta Caronia, Elisa Lucarelli, Cinzia Maccagnano, Lucia Portale e Yvonne Guglielmino interpretando con enfasi la realtà dei predoni, costretti a vivere di stenti nella loro condizione di carcasse viventi.
Girone 2
Par di sognare quando i pannelli della scenografia di Renzo Milan si dissolvono lasciando dietro di sé un buio abissale, come se ci fossimo buttati noi stessi dentro al vortice.
La traversata di Clitennestra è accompagnata dall’oscurità e da una musica che ci induce nuovamente pensieri tribali, il rosso del suo vestito è ora attore e protagonista stesso. Sangue del suo sangue, i suoi due figli sono colpevoli dello scempio che si è abbattuto su Micene.
E mentre il colore del sangue si intensifica su tutta la scena, si rivela la natura del secondo girone.
Si riversa qui la violenza di una giustizia oramai morta, divorata dai suoi stessi fautori, rivela gli intrecci di una società corrotta in un crescendo di emozioni cruente e sanguinose che la scenografia e i costumi più di tutto riescono a rendere con effetto.
Quegli stessi grovigli fatti di corruzione, menzogne, manipolazione, che padroneggiano ormai la mente di ogni essere umano; proprio quegli intrecci tengono in cattività le cagne che tentano alla vita della protagonista.
D’altro canto la musica fin troppo rindondante rischia di rovinare la purezza e la feralità del linguaggio siculo, usato per le scene corali, e saggiamente scelto per la forte emotività che esprime, domato però dalle nuove tecnologie di amplificazione vocale.
Il risveglio della giustizia non tarda però ad arrivare, così come il simbolo di una cultura fortemente Pop: la pistola. Simbolo della vendetta degli oppressi e dei vinti, strumento estremo di redenzione per la protagonista.
Girone 3
L’ultima meretrice trasporta il peso del labirinto di grovigli sul quale regnava, come Sisifo fa con il suo masso.
La seconda porta così si apre con una scelta registica e scenografica molto audace che rischia di far perdere tutta l’emotività e la tragedia accumulata fino a quel momento in un ambiente quasi buffo, seppur intenzionalmente ridicolizzato.
Satira politica e religiosa sprizza da tutti i pori, dalle luci alla musica da discoteca.
La contaminazione di nuove tecnologie si fa ora fin troppo prorompente, forzata, talvolta, come nel caso della distorsione delle voci dei due “falsi dei”.
La scena non si distacca del tutto però dalla pièce in sé: rimangono i canti tribali e la circolarità dei balli o la critica agli automi che governano il mondo di Clitennestra e quello reale in cui tutti viviamo.
Svelata la menzogna le divinità si mostrano per quello che sono: manichini creati dall’uomo nella sua pretesa egoista di avere qualcuno che pensi al posto suo, peso insopportabile per il contemporaneo medio.
Ed infine vi è la rivincita dell’uomo, il momento tanto atteso di redenzione, il gesto estremo dell’omicidio compiuto nuovamente dalla dannata, effettuato con l’arma, creata dalle mani degli dei stessi, che altro non sono che uomini, vulnerabili di fronte all’unica soluzione che la vita stessa ha creato per difendersi dalla feccia umana: la morte.
Samuele Maritan
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