Ieri sera ha debuttato al Teatro Carignano di Torino lo spettacolo CLITENNESTRA, prodotto dal Teatro Biondo Stabile di Palermo, scritto e diretto da Vincenzo Pirrotta e interpretato con cura e passione da Anna Bonaiuto (nel ruolo di Clitennestra). La protagonista è sostenuta da Odette Piscitelli (Oreste), Giulia Andò (Elettra), Roberta Caronia (Corifea), Cinzia Maccagnano(Corifea), Elisa Lucarelli (Sacerdotessa), Lucia
Ieri sera ha debuttato al Teatro Carignano di Torino lo spettacolo CLITENNESTRA, prodotto dal Teatro Biondo Stabile di Palermo, scritto e diretto da Vincenzo Pirrotta e interpretato con cura e passione da Anna Bonaiuto (nel ruolo di Clitennestra). La protagonista è sostenuta da Odette Piscitelli (Oreste), Giulia Andò (Elettra), Roberta Caronia (Corifea), Cinzia Maccagnano(Corifea), Elisa Lucarelli (Sacerdotessa), Lucia Portale (Coreuta) e Yvonne Guglielmino (Coreuta) sempre pertinenti e nel proprio ruolo.
In un’epoca post apocalittica, dove tutti sono cani feroci, Clitennestra si desta dopo un sonno di tremila anni e ritorna per offrire al mondo le spiegazioni degli scempi di cui si è macchiata. Inizia quindi un viaggio in cui rivendica la propria dignità regale, disconoscendo la propria Micene, toccando con mano la deriva a cui è arrivato il genere umano e intuendo chi avesse cavalcato una situazione così deplorevole, il sangue del suo sangue. Le nuove divinità si sono autoproclamate tali, dopo aver divorato i libri – la conoscenza -, e distrutto i luoghi sacri, templi dell’autentica spiritualità. Gli uomini si sono fatti dei: il potere è frutto di manipolazione e dell’abbattimento del senso critico e delle tradizioni, è auto-celebratismo, è auto-referenzialità.
In questo viaggio, in cui è sola come lo sono tutti coloro i quali riescono a vedere nel profondo la realtà fattuale delle cose, si misura con gli abitanti di Micene ormai disperati, ridotti a bestie impaurite che si cibano di avanzi, e assoggettati a due divinità, Oreste e Clitennestra; con le Eumenidi che, scese dal loro piedistallo di dee, sono ridiventate Erinni per proteggere i nuovi dei, da garanti della giustizia sociale si sono convertite a braccia della tirannia; e, in fine, con la propria famiglia in un incontro-scontro.
Una Clitennestra ben resa nelle sue tante sfaccettature e nella sua complessità da Anna Bonaiuto. È regina che rammenta Atena, Zeus ed Era e l’episodio di Tiresia; e quanto aveva realizzato in vita affinché fossero mantenute le tradizioni e la giustizia. È donna che ricorda i momenti più intensi della sua esistenza, fra cui l’uccisione di Tantalo, il marito che gli Dei le avevano dato, e l’arrivo del mestruo della figlia in cui si fondono lacrime della paura e lacrime di gioia. È donna infelice che ha subito violenze atroci, fra cui la morte, per mano di Agamennone, suo secondo sposo, della figlia Efigenia bella e austera che lei stessa, ignara, prepara per l’olocausto, per il sacrificio. E in questo racconto emerge la madre che ama a tal punto da arrivare a uccidere per vendicare il sopruso irreversibile subito da figli. Non cinné amori più forti della matri canta il coro, evidenziando quanto intenso e potente sia quel sentimento che tutto può. È paladina che vuole capovolgere lo status quo, avventurandosi sola, priva di protezione o difesa alcuna, attraverso le due porte per raggiungere gli artefici di tale scempio. Non vuole essere testimone dell’abominio. Afferma: La speranza ci spinge a resistere a credere che le cose possano cambiare e Solo il giudizio della vita può rivoltare il giudizio degli uomini. Giunta al loro cospetto, si scaglia contro le due divinità, strappando prima dalle mani del sacerdote un piccolo che stava per essere sacrificato, scena che ricorda l’intervento dell’angelo che blocca la mano di Abramo che alla fine non incede contro il figlio Isacco, mettendo fine alle morti insensate degli innocenti. E poi apostrofandoli, smascherandoli. La tracotanza vi ha spinto a sostituirvi a dio. Questo è il peccato più terribile, grida loro che in propria difesa si definiscono dio fatto carne, un dio che gli uomini, stanchi di dei invisibili, di spiriti santi, di profeti, di insegnamenti prescrittivi scritti su libri, di statue e immagini, possono toccare e percepire attraverso i sensi. E mentre descrivono le motivazioni del loro agire si spogliano dei paraventi luminosi rimanendo “nudi”, manifestando la loro umanità e sottolineando come la tirannia sia intrinseca nel genere umano. Davanti a tale realtà a Clitennestra non rimane altro che farsi giustizia da sola e, animata dalle parole Guardate la fine del vostro dio, uccide con colpi di pistola i suoi figli Oreste ed Elettra.
Un incedere scenico ritmato, scandito dalla presenza del Coro che si esprime in dialetto siciliano e che rimanda direttamente alla Magna Grecia e all’idea localistica del regista, che, a nostro avviso, vuole calare nel vero, nella terrestrità quanto si dipana in scena nonostante l’ambientazione distante anni luce da una possibile realtà ontologica. Tale lingua per lui è un aggancio all’esistente, in quanto, al di là di paradossi presenti, la situazione narrata è per molti aspetti simile al nostro oggi. Incomunicabilità; mancanza di fede, di speranza e libertà; crollo dei valori; promiscuità sessuale; volgarizzazione dei costumi; assenza della famiglia e del senso del matrimonio; falsi miti e dei; idolatria coarcitiva; fanatismo religioso; fame; controllo; manipolazione; e potere totalmente privo di reale interesse nei confronti del proprio popolo, schiavo, impaurito e bisognoso. Sono questi i temi su cui Clitennestra scaglia la propria denuncia, in una forte critica che colpisce, in primis, la religione cattolica chiamata in causa da diversi elementi: il Gloria in excelsis deo, la figura del pontefice contatto tra il sensibile e il sovrasensibile, il Giubileo dove vengono rimessi, in cambio di una schiavitù subdola, i peccati presenti e passati, e il concetto stesso di oblazione.
Le belle e semplici scene di Renzo Milan sono funzionali alla regia attenta e sempre molto equilibrata nella gestione degli spazi di Pirrotta. I sette attori che affiancano la protagonista occupano la scena con grande simmetria, realizzando triangolazioni quando sono presenti tutti. Anche nei dialoghi però è maniacale l’attenzione del regista all’espressività del singolo gesto. Le luci, firmate da Nino Annaloro, danno profondità e coinvolgono il pubblico nella scena focalizzandone l’attenzione. Curati i movimenti carichi di emozionalità che contribuiscono a accrescere l’aspetto drammatico e patemico di tutta la piéce. Nell’incedere degli attori c’è timore e diffidenza, c’è primordialità animalesca e c’è manipolazione. Anche i bei costumi di Giuseppina Maurizi alimentano questo puntare sull’emozionalità e tratteggiano la differenza tra Clitennestra e gli altri personaggi. Solo lei è sobria, come la consapevolezza che non ha bisogno di sfarzi per esprimersi, come la verità che ha da essere semplice per raggiungere indistintamente tutti. E le musiche di Giacomo Cuticchio diventano un altro attore in scena. Sono fondamentali perché seguono l’azione, la caratterizzano e a volte risultano ipnotiche e intense. Sono la base su cui si colloca il coro sui si respirano i ritmi duri del “cunto” alla scuola di Mimmo Cuticchio.
In sintesi uno spettacolo impattante, emozionalmente intenso, vivace. Settantacinque minuti che volano via. Un unico atto che ti cattura e ti invita a riflettere… In scena al Carignano fino al 6 marzo.
Annunziato Gentiluomo
[Fonte dell’immagine: linkiesta.it]
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