Iniziamo l’anno in un modo speciale con un taglio introspettivo. Vi presentiamo Martina Mamani – SiwarQoyllur (Messaggera delle stelle), sciamana peruviana attraverso la traduzione di Luigi Jannarone dell’intervista di Rafael Nunjar Tovar. Martina Mamani, guida spirituale della comunità indigena di Raqchi in Perù e guardiana del tempio di Wiracocha, gestisce varie comunità nella regione del
Iniziamo l’anno in un modo speciale con un taglio introspettivo. Vi presentiamo Martina Mamani – SiwarQoyllur (Messaggera delle stelle), sciamana peruviana attraverso la traduzione di Luigi Jannarone dell’intervista di Rafael Nunjar Tovar.
Martina Mamani, guida spirituale della comunità indigena di Raqchi in Perù e guardiana del tempio di Wiracocha, gestisce varie comunità nella regione del Cusco, cercando di reintrodurre le ritualità degli antenati e il recupero delle antiche conoscenze della medicina tradizionale andina. Viaggia in tutto il mondo facendo valere la voce e i diritti di Madre Terra.
Sarà in Italia ad aprile 2017 per conferenze e seminari in molte città: Milano, Alessandria, Torino, Genova, Brescia, Roma, Napoli, Ragusa accompagnata da Luigi Jannarone.
Martina, dove sei nata?
Sono nata nel tempio di Wiracocha, nella comunità di Raqchi, provincia di Canchis, distretto di Sicuani, San Pedro, Cusco.
I tuoi genitori sono di Raqchi?
Sì, sia mio padre che mia madre. Sono entrambi di Raqchi. I miei genitori sono stati i guardiani del tempio di Wiracocha per molti anni, come la mia famiglia di generazione in generazione. Loro vivevano lì, nel tempio stesso, custodendo, conservando e preservando la saggezza andina, il tema fondamentale dello sciamanesimo.
Così si chiama, sciamanesimo?
Bè, noi lo chiamiamo medicina o Llachay Nioq in quechua.
Llachay Nioq cosa significa?
Significa “I grandi saggi”. Tutta la famiglia di mio padre ha vissuto nel tempio di Wiracocha; adesso mio padre ha 94 anni. Nel 2000 l’l.N.C. (Istituto Nazionale di Cultura) ha reso il tempio un sito archeologico e così ci sfrattarono da lì, dicendo che lo avrebbero preservato e mantenuto loro e che avrebbero fatto alcune manutenzioni. Da quel momento stiamo vivendo nello stesso paese, a circa 50 metri dal tempio.
Quando ti sei resa conto che facevi parte di questo cammino di medicina? Quando è nato il tuo interesse?
Bé in verità da quando ero bambina, siccome i miei genitori erano maestri curanderi, abbiamo sempre vissuto in questo modo in casa con tutti i miei fratelli. Ricordo che ad ogni Luna nuova, purificavamo la casa e cenavamo alle 7 di sera: poi, dopo la cena, ci riunivamo dove avevamo un altare di pietra in casa e lì ci sedevamo in cerchio. Mio padre si accomodava in mezzo. L’altare di pietra era piatto, lucido e piuttosto grande.
Questo l’ha fatto lui?
No, attraverso i suoi nonni, attraverso varie generazione arrivò a lui in eredità. Noi chiamiamo questo altare “Ruana Rumi” che significa pietra, pietra da lavoro.
Che tipo di lavori facevano?
Lì mio padre faceva le offerte sacre: si sedeva, aveva una specie di panchina anch’essa di pietra, si sistemava e iniziava la cerimonia. La Ruana Rumi non si è mai mossa dal suo posto, sta lì, da generazioni sempre nello stesso posto e per quanto l’abbiano tirata non si è mai mossa; poi l’anno interrata ma sta ancora lì, nel tempio, ovvero nel sito archeologico. Quindi mio padre si metteva lì quando faceva le letture (delle foglie di coca) o quando faceva le offerte. Mio padre era anche artigiano, lavorava la ceramica: noi questo lo chiamiamo Sañoruy (quello che fa i vasi di terracotta). Quando venivano persone a chiedere la medicina, usavamo questa stessa pietra per molare le piante: quindi questa pietra serviva per tutto tranne che per mangiare. Papà non ci ha mai lasciato mangiare lì, era per i momenti sacri, per quello si utilizzava la pietra. Anche gli antenati la utilizzavano perché in mezzo era tutta consumata. È stata molto usata: è stata utilizzata fin dal tempo degli Inca e i miei nonni e bisnonni, anche loro l’hanno sempre usata così. Tutti vivevamo nel tempio, i miei zii, i nonni, tutti lì dentro. Ho vissuto così: questo spazio di guarigione era la mia vita quotidiana e mi sono resa conto di far parte di questo cammino quando in molti venivano a chiedermi di legger loro le foglie di coca. Non mi rendevo conto di essere solo io a fare le letture, perché pensavo lo facessero tutti. Poi c’è stata una sorta di rivolta contro la nostra famiglia: incominciarono a dire che eravamo gente cattiva, che eravamo servitori del demonio. Iniziarono a dire che eravamo degli stregoni sciamani.
Quando successe?
Questo è stato nel 1986, ero una bambina a quel tempo, sentivo che questo faceva molto male a mio padre. Avevo uno zio che era un curandero come lui: faceva le sue cose nascondendosi perché la gente lo trattava male. Negli anni ’90 i miei genitori mi passarono tutti gli insegnamenti della tradizione. Crescendo ho avuto la mia prima figlia a 22 anni, e nell’anno 1994 mi sono resa conto che anch’io stavo entrando nella medesima situazione: iniziarono a emarginare anche me e allora i miei fratelli non ne vollero sapere più niente di queste cose, volevano essere persone normali, non volevano più portare avanti la medicina tradizionale e non volevano interessarsi di niente. Ancora oggi i miei fratelli sono così, sanno tutto ma hanno deciso di non praticarlo. Io però amavo la medicina, mi piaceva, ero la preferita di mio padre e dei miei nonni perché stavo con loro tutto il tempo, stavo con i miei genitori a parlare di queste cose fino a quando ho imparato e capito sempre di più. Soprattutto gli abitanti del paese e la gente di fuori mi hanno fatto capire che quello che stavo facendo era importante. C’erano alcune persone che vennero nel 1995, maestri curanderi che facevano terapia con la musica: avevano tanti tamburi piccoli e grandi. Siccome mi piaceva tutto questo, un giorno che stavano facendo una cerimonia, io andai e mi ricevettero a braccia aperte dicendomi “Vieni Maestra” e io dissi “Di chi parlate? Io non sono maestra”. Così mi accolsero e mi ringraziarono.
Come hai imparato a leggere le foglie?
Così solo guardando, sentivo la coca che mi parlava, da allora mi sono dedicata alla lettura. Però molto prima, quando avevo 8 o 9 anni, osservavo sempre i miei. Quando andavo a prendere la coca con mio padre, lui mi dava le foglie, io le mettevo nella gonna e poi le guadavo e dicevo “Ah! Questo è così e quest’altro è così”. Mio padre e i miei nonni guardavano e dicevano: “Vediamo”. Loro sapevano leggere e dicevano “Ah sì, hai ragione” e quindi anche io sapevo quello che stava succedendo, niente di più. Adesso vedo che ci sono dei corsi, dove insegnano a leggere le foglie di coca e io mi chiedo, come possono farlo? Questo non si impara così.
Tu credi che qualsiasi persona possa imparare a leggere le foglie di coca?
Può essere, però non imparando attraverso l’insegnamento di qualcuno. Puoi captare questa energia, puoi parlare con le foglie di coca e ricevere il dono da mamma coca.
Leggere le foglie di coca significa parlare con loro?
Sì, parli con le foglie di coca, lo stesso succede col mais o col tabacco, parli con loro. Parli nel senso di comunicare, perché se non arrivi a parlare con loro non puoi capire. È un po’ difficile: qui non c’è teoria, non c’è niente di scritto.
Tua Madre come lavorava?
Mia madre è curandera, lavora con le piante e con l’elemento acqua. Sia mia madre che mio padre che io lavoriamo con l’elemento acqua. Il mio prozio lavorava con il fuoco: vedevo sempre i suoi falò in casa sua e sempre domandavo a papà, perché non facessimo anche noi un fuoco? Però mio padre lo faceva solo per bruciare le offerte o cose così. Il mio prozio lo faceva e poi si metteva a masticare la coca, lanciava le foglie, passava tutto il tempo così. Poi ho capito!
Adesso come vedi il mondo? Ha bisogno di cure?
Uh, troppo. Quasi tutta la medicina è andata persa, non so in che momento l’hanno perduta. Quando si parla di medicina alcuni capiscono però altri no, non sanno di cosa stiamo parlando.
E che cosa abbiamo bisogno di curare?
Curare la coscienza e cercare di capire cosa è successo negli anni passati, e in quelli in cui siamo adesso. Questa è la prima cosa su cui ci dobbiamo metterci a pensare, riflettere e lì troveremo la risposta. Perché allora la convivenza era molto bella, amorevole, tutto era in armonia, tutto era sano, però adesso la vita non è più così. Adesso che pian piano i curanderos, gli sciamani e i maestri iniziano a riunirsi, credo che metteremo insieme la conoscenza per decidere quale medicina poter utilizzare per curarci meglio.
Lo spazio della medicina è così, non finisce mai, si va avanti continuando ad imparare. Anche mio padre curava con pietre che erano molto consumate. Quelle che si erano spaccate le riduceva in polvere e le faceva prendere alle persone a seconda del problema.
La saggezza degli antenati non ha mai fine e così a parlare della medicina naturale non si finisce mai!
Che umanità! Che semplicità! Un dono raro quello di parlare di argomenti importanti in modo così immediato e comprensibile. Riteniamo sia una persona speciale, che sta lavorando con autenticità e dedizione per lo sviluppo del nostro piano di esistenza… Da conoscere sicuramente…
Redazione di ArtInMovimento Magazine
[Foto di Respirales e Claudia Aguilar, respirolavida.com, premic.pe, siwarqoyllur.blogspot.it]
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