Un uomo, tre donne, un amore reale e spietato. Al debutto dietro la macchina da presa, il giovane torinese Mauro Russo Rouge dirige e firma la sceneggiatura di Censurado – Inno all’amore, una storia d’amore a tinte fosche, intrisa di violenza e coincidenze. Molto più di un drama movie. Esperimento di cinema spietato, l’opera prima
Un uomo, tre donne, un amore reale e spietato. Al debutto dietro la macchina da presa, il giovane torinese Mauro Russo Rouge dirige e firma la sceneggiatura di Censurado – Inno all’amore, una storia d’amore a tinte fosche, intrisa di violenza e coincidenze. Molto più di un drama movie.
Esperimento di cinema spietato, l’opera prima del giovane attore teatrale, ancora in fase di editing, sarà pronta per i festival italiani ed internazionali il 30 novembre 2014. Manca poco, e l’attesa cresce.
Fondato sul “crowd funding”, metodo di raccolta fondi e finanziamenti online da tempo in auge negli States, il progetto nasce da un’idea di fondo: destabilizzare l’individuo.
«Masochismo? Ah, ah – precisa il giovane artista. “Qualcuno afferma che l’arte sia sofferenza e che l’individuo sia in grado di raggiungere il massimo della performance solo ed esclusivamente sotto stress. Io però vi assicuro, che quando hai a che fare con bravi attori, l’impresa diventa semplice e divertente. Altro che masochismo».
Perciò, aldilà dell’artaudiano proposito di teatro/cinema “crudele” (lezione che il neo-regista, con alle spalle una damsiana teoria teatrale, mostra di non poter ignorare), la pellicola è un’appassionata riflessione sull’amore, sul dolore e sul destino.
Torino sullo sfondo. Trudi, il protagonista interpretato da un “esemplare” Fabrizio Odetto, è sposato. Ciò non gli impedisce però di avere una relazione con due donne, Valeria e Sigrid (le attrici Francesca Antonucci e Caroline Koch). Vuole bene a Valeria ma è per Sigrid che il suo amore diventa instancabile. Instancabile ma non contraccambiato, perchè Sigrid ama Valeria; Valeria però li ama entrambi.
Un tentativo di andare oltre il cinema, spingendo o “costringendo” lo spettatore non solo a osservare a distanza ciò che accade in scena, ma a esserne coinvolto, fisicamente e metafisicamente. Una fotografia dura, marcata con colori saturi, per una regia che molto gioca su flashback ed elementi del linguaggio filmico poco convenzionale Soprattutto un intenso lavoro, in media 14/16 ore al giorno per due settimane, che ha messo a dura prova la resistenza psicofisica degli attori. Il risultato però, aldilà di ogni prevedibile difficoltà, è stato il migliore possibile:la nascita di un grande “consorzio umano”. «Una meravigliosa esperienza».
Sul set, infatti, è stato tutto più facile. «Girare un film di 1 ora e mezza in due settimane potrebbe sembrare una cosa assurda, impossibile, ma non è così. Quando hai a che fare con un attore di teatro del calibro di Fabrizio Odetto poi, che corrisponde in toto il tuo pensiero e lo comprende, tutto si semplifica. Così è stato». Particolarmente importante allora, si è rivelato il sodalizio con il più esperto Odetto, un attore di formazione teatrale «in grado di approfondire lo studio del personaggio in modo quasi compulsivo, a dir poco».
Del resto, alla base dell’impostazione registica del torinese, sembra esserci Stanislavskij accanto al già citato “folle” di Rodez. In particolare la sua filosofia del “lavoro dell’attore su stesso” che, attraverso “reviviscenza” e “memoria emotiva”, è in grado di mettere l’attore in condizioni di “creatività”. «Credo fermamente nella preparazione dell’attore. Credo fermamente nello stimolo al sacrificio. Quando ho ne compreso l’immensa bravura, mi sono reso conto che il suo monologo di 9 minuti doveva essere girato tutto in piano sequenza. Non potevo permettermi interruzioni. Non poteva permettersi interruzioni».
Se sia riuscito nel suo intento, quello cioè di coinvolgere lo spettatore, proiettandolo realisticamente e spietatamente dentro la vicenda in prima persona, lo scopriremo presto. Intanto però, il giovane e insaziabile regista ha già voglia di ripartire: «ho già un’altra sceneggiatura pronta che metterò in scena ad Aprile\Maggio 2015. Sarà un’altra grande sfida: un lungometraggio che gireremo in soli 7 giorni».
Un realismo figlio del mondo in cui viviamo, quello di Censurado: destabilizzare per sensibilizzare, per far riflettere. Un “Cinema della Crudeltà”: a questo sembra pensare l’artista torinese.
Un cinema che, espurgato dalla tirannia dello spettacolo, ritorni a pensare e a far pensare. Un cinema “più vero”: il cinema vivente.
Giuseppe Parasporo
[Fonti immagini: www.censurado.it]
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