Jessica Pratt, che abbiamo già avuto il piacere di intervistare qualche settimana fa, è un soprano australiano del 1979 e nonostante la giovane età è oggi una degli esperti più rinomati del repertorio belcantistico, richiesta dai più importanti teatri d’opera del mondo. Reduce da un’interessante interpretazione di Giulietta ne I Capuleti e i Montecchi di Bellini
Jessica Pratt, che abbiamo già avuto il piacere di intervistare qualche settimana fa, è un soprano australiano del 1979 e nonostante la giovane età è oggi una degli esperti più rinomati del repertorio belcantistico, richiesta dai più importanti teatri d’opera del mondo.
Reduce da un’interessante interpretazione di Giulietta ne I Capuleti e i Montecchi di Bellini a La Fenice di Venezia, e prontissima per la prima de I puritani sempre di Vincenzo Bellini, diretta da Fabio Ceresa, in scena all’Opera di Firenze dal 28 gennaio al 10 febbraio, col soprano parleremo del belcanto, dello star system della lirica e della situazione dell’opera italiana.
Per il belcanto, quali sono le caratteristiche vocali – colore, timbro – e sceniche che, secondo lei, un soprano deve possedere? Sono tutte innate o qualcuna può essere costruita o perfezionata con l’esperienza?
Anche le doti innate devono essere tutelate e perfezionate al massimo. Per il belcanto teoricamente ci vuole una voce bella, flessibile, soffice ma calda e lirica per i passaggi centrali, specialmente in Bellini, dove non si dovrebbe mai spingere o forzare il suono, mantenendo nello stesso tempo il volume e un grande legato nel centro, cosa non facile per una voce che poi deve andare molto in alto nel settore acuto. Ci vogliono anni per capire come bilanciare la voce in modo da non esagerare in alto senza svuotare il centro e senza spingere nel centro limitando gli acuti. Nella gamma alta della voce serve un suono argenteo, capace di correre in teatro, fluido e mai spinto. Dopo aver acquisito un’omogeneità nei registri, c’è bisogno di studiare i vari aspetti tecnici del repertorio, come picchiettati, staccati (che, almeno per me, non funzionano se non faccio gli esercizi tutti i giorni), messe di voce, trilli, coloratura rapida e legata e la coloratura di forza, come si usa spesso in Rossini. Un soprano può anche avere una voce bella e predisposta per la coloratura in velocità ma se non è disciplinata non arriverà dove dovrebbe; sarebbe come pretendere da una persona che corre velocemente per natura, che vinca le olimpiadi senza mai allenarsi ogni giorno per anni prima di arrivare a quell’importante traguardo. Il trillo ad esempio: lo eseguivo facilmente di natura su quattro note e la vocale A; con gli anni ho imparato a lavorare su tutte le vocali spostandomi sopra e sotto il pentagramma, fino ad arrivare a trillare su tutte le note e con tutte le vocali. E ancora oggi, dopo dieci anni, trovo difficile trillare nell’ottava bassa e sulla E aperta, per questo continuo a studiare.
Un cantante deve avere la testa, il rispetto per il compositore, umiltà, disciplina, tanta pazienza, un’anima, un bagaglio di esperienze di vita, avere qualcosa da esprimere, la sensibilità per gli stati d’animo, l’abilità di capire che quello conta sono la musica e il personaggio, la capacità di far emozionare il pubblico senza emozionarsi. Tutto quello che hai studiato fino al momento dell’esibizione serve solo per esprimere un’emozione e magari trasmetterla al pubblico, creando empatia in persone a te sconosciute attraverso il teatro e la musica.
Come funziona lo star system del mondo della lirica? Lei come si colloca rispetto a questo tema?
È un tipo di carriera che si compone di tanti e grandi concerti e poche opere nei teatri. Ci sono per fortuna tanti cantanti chi hanno guadagnato il loro posto di ‘Star’ ancora oggi ma si spera che il star system della lirica non prende la strada che ha preso la musica pop, cantanti chi sono stati ‘scelti’ dal marketing più per bellezza fisica che per capacita canore.
Rispetto al passato, ai cantanti non è consentito aspettare di raggiungere una certa maturità, che si può acquisire solo con anni di esperienza, a prescindere dal talento. Il teatro è un lavoro di artigianato e va fatto imparando il mestiere con anni di gavetta. Oggi si scritturano ragazzine di 25 anni belle e obbedienti nei teatri più grandi del mondo per un paio di anni, e se sono fortunate riescono a reggere per cinque anni prima di crollare per diversi motivi: innanzitutto il fatto che il pubblico di oggi è ormai sempre più abituato alla star del momento e dopo due anni se non gli proponi qualcosa di nuovo si annoia; in secondo luogo, proprio come quando costruisci una casa sulla sabbia senza le fondamenta, può crollare facilmente, così se il cantante non ha guadagnato il proprio posto nello star system con tanto lavoro ed esperienza, rischia di crollare facilmente.
Nel teatro d’opera rischiamo quello che a mio avviso è successo nella musica pop… negli anni 60 e 70 un cantante pop che si affacciava sul panorama musicale era un personaggio, con talento e carisma, sapeva cantare e scrivere una canzone e per questo raggiungeva un successo duraturo nel tempo. Oggi, invece, c’è una nuova star ogni anno; tutti sembrano assomigliarsi, senza sapersi distinguere per particolare talento o capacità e tutti sembrano essere interscambiabili. Spero e mi auguro che non sia questo il futuro prossimo della lirica, anche se è proprio quello che temo.
I grandi mostri sacri di cui parlavo prima hanno guadagnato il loro posto nell’Olimpo con anni di carriera e di studio, e non perché qualcuno ha deciso che loro dovessero diventare delle star per questioni riguardanti il marketing dello star system. D’altra parte in passato c’era una distanza tra i cantanti e il pubblico che oggi, nel bene e nel male, complici anche i social network, non esiste più. Se per esempio la Callas avesse potuto iscriversi su Facebook e avesse potuto pubblicare quotidianamente foto di ogni cena che cucinava nella sua casa, dei suoi cani e delle sue vacanze sullo yacht, e se ogni recita fosse stata pubblicata su Youtube, forse la sua figura non avrebbe avuto quell’alone di mistero che ha contribuito a renderla unica. Per poterla vedere e ascoltare si doveva andare in teatro, che era l’unico luogo dove si poteva sperare di avvicinare le grandi star. Oggi, al contrario, c’è una smania di apparire e una sovraesposizione mediatica che rischia di essere estremamente pericolosa per il rapporto con il pubblico, che è sempre alla ricerca della novità e della star del momento, e per i cantanti stessi che rischiano di scadere nella monotonia e nel “già visto”. Ecco perché penso che oggi molte carriere vengano costruite puntando più sulla quantità che sulla qualità. È importante per un cantante di oggi saper promuovere la propria immagine, attraverso la pubblicità e i social network, ma è altrettanto importante concentrarsi sullo studio e sulla propria preparazione tecnica e musicale. Credo che a un certo punto ci si debba chiedere se è più importante apparire ovunque o cantare bene quando si appare raramente.
Qual è l’esibizione in cui si è piaciuta di più e perché? Ha trovato corrispondenza di questo suo sentire nella risposta del pubblico?
Ci sono momenti durante gli spettacoli dove riesco a realizzare qualcosa di particolare che ho tanto ricercato nello studio, come per esempio un colore, la precisione nei picchiettati, un fiato lunghissimo o più semplicemente riuscire a far emozionare i miei colleghi o il pubblico. Questi risultati, quando riesco a raggiungerli, mi gratificano moltissimo e riesco ad avvertire un riscontro immediato da parte del pubblico e ancora di più da parte dei coristi e degli altri colleghi, che durante il periodo di prove hanno imparato a conoscere tutto di me, anche i miei punti deboli. E provo una grande soddisfazione quando riesco a risolvere dei passaggi difficili e posso godere del sostegno e della solidarietà delle persone che dividono con me il palcoscenico. Una produzione a cui sono rimasta particolarmente legata, per tanti motivi, per esempio, è quella della Lucia di Lammermoor al San Carlo di Napoli con Nello Santi e Gianni Amelio e un cast di alto livello, con bellissimi costumi. Ero molto ansiosa perchè si trattava del mio debutto a Napoli, nel teatro per il quale la Lucia di Lammermoor era stata composta e desideravo dimostrarmi all’altezza di questo impegno. Durante le prove con il Maestro Santi ho avuto la possibilità di imparare tante cose, che mi sono state di grande aiuto e la più grande soddisfazione l’ho provata quando ho sentito l’ovazione del pubblico durante la scena della pazzia…non credevo alle mie orecchie e proprio in quel momento mi sono sentita fiera del lavoro che io e tutto il team avevamo fatto insieme.
Dal punto di vista organizzativo, quali sono le più grandi differenze tra il sistema operistico italiano e quello degli altri paesi?
In altri paesi fondamentale è l’organizzazione. A me, sinceramente, un po’ di caos piace ed è un aspetto che mi manca quando sono all’estero. In Italia ci sono teatri fantastici che funzionano come quelli esteri e altri teatri all’estero dove le cose non funzionano per nulla. Ogni teatro è una realtà a sé stante. Dopo un po’ ci si abitua al “sistema”, e ora mi trovo a meravigliarmi quando miei amici e colleghi americani o Australiani arrivano per il loro debutto in Italia e si dimostrano impauriti e scioccati per il modo di condurre determinate situazioni, di fronte alle quali io non noto più nemmeno la stranezza. Forse perché vivo ormai in Italia da tanti anni e ho imparato a conoscere il comportamento e la gestione degli affari all’interno dei teatri.
Quali consigli darebbe, alla luce delle sue esperienze all’estero, per risanare la complessa situazione operistica italiana?
In Italia manca una programmazione anticipata e dettagliata. Spesso i contratti vengono stipulati all’ultimo minuto e non con giusto anticipo, come invece avviene all’estero, dove i cantanti firmano con due anni di preavviso. Devo aggiungere che la situazione degli scioperi all’interno dei teatri italiani e dei teatri che non pagano i cantanti anche a distanza di anni, fa sì che i cantanti stranieri non vengano a cantare in Italia appunto perché hanno paura di non essere pagati. Devo comunque dire che i teatri che vivono questa situazione sono davvero pochi.
Il teatro che le è rimasto nel cuore qual è? Perché?
Più che il teatro sono le persone che ci lavorano a rimanermi nel cuore, dai pianisti, ai coristi e truccatori, con i quali spesso si instaurano degli stretti rapporti di amicizia, come per esempio mi è successo a La Fenice di Venezia, dove ho dei cari amici, in particolare nel reparto dei costumi, con i quali passo il mio tempo libero.
Cosa consiglierebbe a un giovane cantante d’opera che si è appena diplomato in Conservatorio?
Gli consiglierei di continuare a studiare, apprendere bene le lingue straniere in cui deve cantare, arricchirsi con la lettura e trovarsi un lavoro, anche in un bar, perché iniziare una carriera nella lirica è estremamente costoso. Mi riferisco alle lezioni con maestri, ai voli e agli alberghi per poter fare le audizioni. Nei primi anni si spende molto di più di quello che si guadagna e uno dev’essere davvero convinto di voler proseguire su questa strada. È un investimento molto oneroso, impegnativo e rischioso.
Quanto è importante per un giovane affidarsi a un agente famoso?
Credo che all’inizio sia meglio affidarsi a un agente chi non ti spinga oltre i tuoi limiti e che magari rappresenti o si appoggi ad una struttura piuttosto piccola, che gestisca pochi cantanti. In una grande agenzia un cantante giovane rischia di essere dimenticato, messo da parte, o, peggio, di essere spinto all’estremo, oltre le proprie capacità. I grandi teatri non sono posti dove è possibile sperimentare: il cantante deve conoscere benissimo ed essere profondamente quel ruolo, poterlo sostenere in tutti i sensi, scenicamente e vocalmente. Inoltre gli agenti famosi lavorano in questi teatri, hanno relazioni significative con questi. Bruciarsi è molto facile. In sintesi, secondo me, all’inizio della propria carriera è meglio affidarsi a un agente competente con cui fare esperienze e crescere prima di rivolgersi ad uno famoso. L’agente migliore per te è quello che può e vuole trattarti con cura, perché gli conviene. Un agente “piccolo” probabilmente non ha il potere di piazzarti al Covent Garden facilmente, però si prende cura di ogni cantante che ha e fa in modo che ogni cantante stia bene e cresca. Invece in una grande agenzia i cantanti possono facilmente essere rimpiazzati se non sopravvivono ai ritmi frenetici e alle complesse logiche retrostanti: allora è meglio non entrarvi finché uno non sia ben strutturato, sicuro e forte dell’esperienza già fatta.
Annunziato Gentiluomo
[Fonte delle immagini: facebook.com]
Leave a Comment
Your email address will not be published. Required fields are marked with *