Il 24 aprile scorso è stata l’ultima replica al Teatro Regio di Torino de La donna serpente di Casella, un titolo non propriamente appartenente al grande repertorio che testimonia la linea artistica innovativa e avanguardista del teatro torinese. Un debutto a tutto tondo per quest’opera fuori dagli schemi, come viene definita da Noseda, grande estimatore
Il 24 aprile scorso è stata l’ultima replica al Teatro Regio di Torino de La donna serpente di Casella, un titolo non propriamente appartenente al grande repertorio che testimonia la linea artistica innovativa e avanguardista del teatro torinese. Un debutto a tutto tondo per quest’opera fuori dagli schemi, come viene definita da Noseda, grande estimatore del compositore.
Ciò che ci ha colpito dell’allestimento è la perfetta armonia tra tutti gli elementi presenti, che riescono a rendere leggibile la partitura di non immediata comprensione e di una certa complessità stilistica. Tutto è dove deve essere. La sensazione che arriva è infatti tranquillizzante: si accetta infatti l’invito implicito a fidarsi e a lasciarsi guidare nella storia. In un’atmosfera onirica e surreale, i colorati costumi fiabeschi di Gianluca Falaschi; le scene efficaci di Dario Gessati, basate su blocchi geometrici che, muovendosi, definiscono i vari spazi magici che lasciano il posto al reale quando non ci sono, tratteggiando i confini tra reale e fantastico; e le luci puntuali di Giuseppe Calabrò trascinano lo spettatore in un mondo altro, ipnotizzato dalla sinuosità degli esseri fatati – mimi e ballerini – che col loro movimento e la loro presenza disperdono scintille di magia, che costella l’intero allestimento. I mimi colorano la scena seguendo il libretto e rappresentando quanto si racconta e, di volta in volta, diventano le catene e i duellanti, e sono gufi e cani con l’ausilio di un semplice copricapo, come poi succederà con Miranda trasformata in serpente. Buona è la regia di Andrea Cirillo che si confronta col testo di un sinfonista a cui manca una chiara propensione teatrale e che è l’espressione di un’esplosione creativa totalmente imprevedibile. Cerca di sopperire a tale deficienza, curando i dettagli e partecipando attivamente alle suggestioni surreali dell’opera. Emozionanti la scena dell’ingresso a destra di Miranda tradita mentre gli altri interpreti uscivano da sinistra in perfetta diagonale, e intenso l’inizio dell’ultimo atto con un mimo che, rappresentando il serpente in cui la protagonista si era trasformata, si muove con una grandi sinuosità e sensualità, interpretando tutto il dramma della disgrazia accorsa. Ricco di vitalità il finale dove quella sinergia prima citata si esprime in tutta la sua portata.
Intense le coreografie di Riccardo Olivier, capaci di rendere la dolcezza e l’irruenza delle musiche di Casella che Gianandrea Noseda interpreta con precisione e trasporto. Magistrale la sua direzione che valorizza la partitura con energia e grande partecipazione, riuscendo a investigarne e a illuminarne ogni minimo dettaglio cameristico e contagiando l’Orchestra del Teatro Regio che risponde in modo superbo alle sollecitazioni del suo Direttore. Anche il Coro viene investito da tale entusiasmo dando prova di grande spessore artistico.
Validissimo tutto il cast. La voce robusta, il buon fraseggio, la buona tecnica, il bel colore e il timbro chiaro di Carmela Remigio la rendono un’eccellente Miranda. Pura e lirica nell’aria Vaghe stelle dell’Orsa dove raggiungere il suo climax interpretativo. Piero Pretti veste molto bene i panni del principe Altidor, distinguendosi per una voce luminosa e ben proiettata. Notevole la vocalità di Erika Grimaldi, che tratteggia con eleganza il personaggio di Armilla. Molto profonda e solida la voce di Fabrizio Beggi (Ministro Tògrul). Di spessore lirico marcato e di grande impatto scenico da vera amazzone la performance della solidissima Anna Maria Chiuri (Canzade) che anche nell’aspetto mostra fierezza e forza. Convince, risultando vocalmente interessante Francesca Sassu (Farzana e La Corifea) mentre poco autoritario Sebastian Catana (Re Demogorgòn): manca di volume e di spessore, nonostante la sua valida tecnica e il suo buon colore. Molto ben realizzate le pagine di insieme, in particolare quelle con Roberto de Candia (Pantùl), Francesco Marsiglia (Alditrùf), Marco Filippo Romano (Albrigòr) e Fabrizio Paesano (Tartagìl).
Annunziato Gentiluomo
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