Les Contes d’Hoffman, che si è dispiegato davanti ai nostri occhi, lunedì scorso (8/12) al Teatro Ponchielli di Cremona, ci ha catturati. La forza della musica di Offenbach, che va ben oltre la propria generica carica romantica, secondo le tipicità dell’opera comica francese, e l’intensità della messa in scena, sapientemente legata al libretto e alla partitura,
Les Contes d’Hoffman, che si è dispiegato davanti ai nostri occhi, lunedì scorso (8/12) al Teatro Ponchielli di Cremona, ci ha catturati. La forza della musica di Offenbach, che va ben oltre la propria generica carica romantica, secondo le tipicità dell’opera comica francese, e l’intensità della messa in scena, sapientemente legata al libretto e alla partitura, hanno affascinato i presenti catapultandoli in uno spazio senza tempo, tratteggiato a volte da tinte oniriche. Una dimensione dove, in una sorta di caleidoscopio felliniano, nella finzione generale si inanellano, una dentro l’altra, le finzioni dei vari racconti, come sottolinea il M° Christian Capocaccia.
La musica di quest’opera di Offenbach è caratterizzata, infatti, come spiega il direttore d’orchestra, da un’inarrestabile proliferazione dei suoi incantesimi, che avvincono l’ascoltatore, immedesimato fin all’inizio nel personaggio Hoffmann, alla narrazione fantastica dei suoi tre racconti, alla magia dei casi amorosi di cui lo scrittore è allo stesso tempo autore e protagonista, ai malefici di cui è vittima. Il protagonista è, nelle mani di un Offenbach ‘buon incantatore’, lo strumento della creazione di una dimensione altra, in cui rimaniamo rapiti, costantemente in bilico tra sogno e realtà.
Davanti ai nostri occhi venivano sviluppandosi atmosfere suggestive create da scene essenziali e da semplicissimi “accessori” scenici, quali corde che scendevano dall’alto o un candelabro con le candele accese o cuscini al centro del palco, perfettamente in linea con quanto si stava realizzando, in accordo con la musica affascinante ben resa dall’Orchestra I Pomeriggi Musicali, diretta con precisione e “delicatezza” dal
M° Christian Capocaccia.
La regia attenta e non invadente è fedele all’edizione del 1907 pubblicata dalla Casa Choudens. Questa versione, sottolinea Frédéric Roels, ha dimostrato la sua efficacia drammatica ed è fedele allo spirito di Offenbach, anche se contiene alcuni elementi apocrifi (l’aria “Scintille, diamant”, il meraviglioso settetto alla fine dell’atto di Giulietta). Parlando dell’ispirazione fantastica de Les Contes d’Hoffman, il regista ricorda che l’opera fu composta in un’epoca incredibilmente fantastica, specialmente grazie, o a causa, delle formidabili invenzioni di quel tempo che ha visto emergere rivoluzioni inimmaginabili: il treno, il cinema, l’automobile, la lampadina. Queste invenzioni sconvolgono la vita quotidiana e modificano seriamente l’idea stessa di spettacolo, di rappresentazione. Ora bisognerà contare su una illusione invadente che costringe lo sguardo e deforma la realtà facendoci prendere lucciole per lanterne (magiche, per giunta). Considerando questi aspetti, ha cercato di rendere tutta questa dimensione fantastica, già molto presente nel testo, attraverso un ambiente che gioca costantemente sull’illusione, che pone il gioco nell’abisso. E lo fa ricorrendo anche a degli accessori un po’ paurosi, come bicchieri pieni di una bevanda verdastra e fumante, tra assenzio e fuochi fatui.
Obiettivo raggiunto, totalmente raggiunto!
Per quanto concerne la gestione dello spazio, si rileva un’attenzione forte sulla centro della scena, sempre occupato. Nel prologo cinque funi raccolte assieme, a formare una matassa. Poi un grosso cubo ruotante che scopre le figure di Olympia e Antonia, divenendo soprattutto per la prima quasi una vetrina, una teca museale. Nell’atto veneziano si ricorre a un lampadario di cristallo e a dei cuscini ammassati l’uno sull’altro. In questi diversi ambienti gli attori parevano muoversi in un tempo sospeso, in libertà creando e ricreando loro la spartitura che si sbrogliava davanti ai presenti, anche se tutti perfettamente orchestrati da un intento chiaro super partes.
Rispetto al cast di questa nuova produzione abbiamo molto apprezzato Mickael Spadaccini, interprete del ruolo di Hoffmann. Una vocalità pulita, forte, robusta e capace di reggere un’opera che ruota tutta su di lui, una vocalità che arrivava dritta al cuore esprimendo la gioia, l’illusione, lo stupore e il dolore, quindi la complessità del personaggio di Offenbach. Inoltre la sua presenza scenica energica, plastica e sempre pertinente gli ha permesso di rendere molto bene la difficile e sfaccettata parte. Il mio obiettivo principale è fare arte con passione e trasmettere – ci racconta il tenore – Quest’opera concede totale libertà all’anima artistica. Il compositore ci offre degli strumenti, ma poi siamo noi interpreti che la facciamo vivere. Cantare Hoffmann è speciale, non è come cantare Turandot, Manon Lescaut o Werther o molte altre ancora, è una cosa a parte perché dentro quest’opera e in particolare in questo ruolo ci sono tutti i sentimenti possibili. Ti prende totalmente. Era proprio quello che abbiamo percepito: una fusione totale col personaggio, grintosa, passionale, ma mai eccessiva. Molto intensa è stata l’interpretazione, in duetto, di Ah! J‘ai le bonheur dans l’âme!, Ou alors e C’est une chanson d amour qui s’envole.
Notevole è stata anche la performance della giovanissima Larissa Alice Wissel, che si è misurata con le tre figure femminili dell’opera. Nonostante un inizio incerto nei panni di Olympia, per cui è apparsa un po’ immatura, ha dato prova di grande spessore professionale, buona vocalità ed ottimo controllo dello strumento nella sua versione di Antonia e Giulietta, rendendo con eleganza il dramma delle due donne e soprattutto il loro assetto emotivo. Ci ha colpito in Elle a fui la tourterelle.
Abramo Rosalen ha dato prova di grande personalità scenica soprattutto nei panni di Lindorf nel prologo – Dans les rôles d‘amoureux langoureux – e del Dottor Miracle. Molto pregevole la vocalità di Alessia Nadin (Niklausse), abile anche teatralmente. Veramente divertente e molto ben eseguita da Matteo Falcier l’aria Jour et nuit del ruolo di Frantz, e interessante anche la vocalità scura, proiettata e profonda di Vincenzo Nizzardo (Hermann/Schlemil).
Sempre all’altezza il Coro del Circuito Lirico Lombardo, diretto dal M° Diego Maccagnola, anche se nell’atto parigino dedicato a Olympia, è parso scenicamente disordinato. La coreografia di Sergio Simòn infatti non ha convinto in questo quadro.
Curatissime le luci firmate da Laurent Castaingt, e molti belli e a volte eccentrici i costumi di Lionel Lesiere, a indicare forse i gradi di libertà dell’artistica. Sia le luci sia i costumi, totalmente funzionali alla messa in scena, ben supportavano l’atmosfera surreale dell’opera..
Proprio un bell’allestimento che si può apprezzare ancora domani, 12, e il 14 dicembre al Teatro Grande di Brescia, e il 19 e il 21 dicembre al Teatro Sociale di Como.
Sicuramente un’ottima scelta del Teatro Ponchielli per chiudere una stagione lirica che si è distinta per qualità e per gusto…
Annunziato Gentiluomo
[Foto: Alessia Santambrogio ph]
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