Venerdì 25 febbraio abbiamo potuto assistere a La favorita, grand opéra in quattro atti di Gaetano Donizetti su libretto di Alphonse Royer, Gustave Vaëz e Eugene Scribe, al Teatro Regio di Parma, ove torna in scena dopo quarant’anni, nel nuovo allestimento realizzato in coproduzione col Teatro Municipale di Piacenza. Una struttura assembleare, un’aula universitaria di anatomia senza
Venerdì 25 febbraio abbiamo potuto assistere a La favorita, grand opéra in quattro atti di Gaetano Donizetti su libretto di Alphonse Royer, Gustave Vaëz e Eugene Scribe, al Teatro Regio di Parma, ove torna in scena dopo quarant’anni, nel nuovo allestimento realizzato in coproduzione col Teatro Municipale di Piacenza.
Una struttura assembleare, un’aula universitaria di anatomia senza tempo dai colori bianco-grigi come ambientazione, un monocromatismo interrotto dalla presenza degli abiti colorati e sfarzosi posti dentro a delle vetrine a identificare i protagonisti dell’opera citati in cima alla struttura in vetro. Sicuramente Andrea Cigni, grazie al lavoro in team con Dario Gessati (scene), Tommaso Lagattolla (costumi) e Fiammetta Baldiserri (luci), ha un’idea chiara dell’opera e perora la sua idea con convinzione partendo, come afferma, dall’idea del Teatro Anatomico, luogo dove si “esaminano” profondamente (fisicamente) gli individui e che qui vorremmo riproporre come “analisi” e disamina dei sentimenti, delle viscere affettive dei personaggi, del loro essere veri sotto una pelle (rappresentata dal costume) che solo quando viene tolta li lascia sinceramente esprimere ciò che sentono, provano, vivono mostrandoci i loro sentimenti, la loro sofferenza, la loro angoscia, il loro amore, la loro verità. Ci interessa così analizzare minuziosamente, come avviene per un corpo nel teatro anatomico, la storia tra i personaggi, le dinamiche dei loro comportamenti, la sintesi dei loro sentimenti. Non sappiamo, fino in fondo, quanto la lettura di Andrea Cigni risulti però comprensibile, tanto che all’inizio ci disarma, ci distrae, ci riporta a un immaginario squisitamente medico, forse perché oggi siamo molto sensibilizzati da una situazione pandemica che ha condizionato la nostra esistenza in base a un’urgenza sanitaria o presunta tale. Un teatro col pubblico in sala con la mascherina che diviene platea medicalizzata di uno spettacolo dove sono i sentimenti, le paure, i desideri a dover avere la meglio e non una loro disanima neutrale al microscopio. Quindi sospendiamo la nostra valutazione apprezzandone il coraggio e l’originalità.
Matteo Beltrami ha diretto con decisione e maestria l’Orchestra Filarmonica Italiana e il Coro del Teatro Municipale di Piacenza, istruito da Corrado Casati. Con la sua bacchetta ha interpretato con passione e personalità la partitura di Donizetti accentuando la natura intimistica del dramma di Leonora dilaniata fra il nuovo e totalizzante amore per Fernando e il essere la donna del Re Alfonso, che gli garantisce una posizione sociale e quindi benefit che non è pronta a lasciare.
Nel cast risulta eccellente l’interpretazione Anna Maria Chiuri che ha tratteggiato con sapienza e raffinatezza tutte le sfumature di Leonora di Guzman, personaggio complesso, diviso appunto tra un nuovo amore e una posizione sociale difficile. La sua vocalità potente, la sua fine tecnica e la sua ricercata espressività le permettono di muoversi con agilità nella partitura tutt’altro che semplici, riuscendo ad emozionare e a tenere su di lei gli occhi puntati addosso.
L’affiancano Simone Piazzola (Alfonso XI), Celso Albelo (Fernando) e Simon Lim (Baldassarre), tre uomini che ben rendono i propri ruoli, ma che per motivi diversi non emergono pienamente come la Chiuri. Simone Piazzola bene si esprime vocalmente, risolve con professionalità il suo ruolo, ma risulta ingessato e mancante di estro, come se fosse condizionato da una stanchezza importante. Celso Albelo spinge molto con la voce, quasi come se non si fidasse completamente del suo strumento che è potenzialmente raffinato, ma forse non totalmente idoneo al ruolo. Simon Lim ha offerto una buona prova di sé: valida tecnica, imponente struttura vocale, voce ben proietatta, ma non è apparso totalmente armonizzato in particolare col tenore e ciò non è andato a beneficio dello spettacolo.
Andrea Galli e Renata Campanella hanno avuto un buon debutto al Teatro Regio di Parma proponendo con cura rispettivamente il ruolo di Don Gasparo e Ines. In particolare la seconda ha dimostrato una bella vocalità proiettata che ha saputo usare con grazia.
Nel complesso però una serata claudicante, incerta, non completamente manifestata, interrotta da un disagio acustico, a dir poco emblematico.
Annuziato Gentiluomo
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