Torniamo a casa pensierosi dopo aver assistito a uno spettacolo con delle potenzialità evidenti che però non sono state del tutto espresse. Questo è in sintesi il nostro vissuto dopo la prima di Manon Lescaut al Teatro Regio di Torino, l’unica opera di questa stagione che non ci ha convinto fino in fondo. La scena si
Torniamo a casa pensierosi dopo aver assistito a uno spettacolo con delle potenzialità evidenti che però non sono state del tutto espresse.
Questo è in sintesi il nostro vissuto dopo la prima di Manon Lescaut al Teatro Regio di Torino, l’unica opera di questa stagione che non ci ha convinto fino in fondo.
La scena si apre in un grande atrio con delle colonne. Una bottega con una fontana a destra. Banconi in legno e un piano rialzato con un tavolino e qualche sedia. Due lampadari in ferro battuto e un albero che spunta sul fondo nella parte destra del palco. Una carrucola che carichi e trascina al secondo piano dei pacchi. E gli uomini scherzano gioiosamente con le donne. Questo è lo sfondo su cui si consuma il primo atto che passa quasi inosservato, privo di una chiara idea registica, limite che rintracciamo anche nel II atto, ambientata a Parigi, nella casa di sontuosa casa di Geronte. Ben tre servitori si occupano del trucco della protagonista, mentre due inservienti sistemano il letto. Le colonne dorate ben decorate si impongono luminose. A sinistra un separé per permettere a Manon di cambiarsi. Un bel lampadario. Tutto rimanda all’opulenza e all’eleganza, quella stessa eleganza che incarna il maestro di ballo. Dalla luce degli ori alla prigione formata da due torri e una cancellata, ubicata a sinistra, mentre destra ne fa capolino un’altra torre, mentre sulla scena pacchi, barili, sacchi pronti ad essere imbarcati nella nave di cui si intravedono dei tiranti. Il quarto atto una landa desolata, in pendenza, brulla, arida con le quinte in evidenza.
Su queste scene che portano la firma di Thierry Flamand si inserisce la regia altalenante di Vittorio Borrelli assolutamente tradizionale. I primi due atti paiono privi di una chiara idea registica. Addirittura in dei momenti le componenti dell’allestimento – musica, movimenti scenici e interpreti – sembrano essere isole separate. Dal terzo atto invece si impone un ensemble più chiaro capace di esprimere la forza e la passione del verismo pucciniano. Molto curata la scena del richiamo delle condannate. Buona la gestione delle luci di Andrea Anfossi e belli i costumi di Christian Gasc.
La direzione di Gianandrea Noseda nei primi due atti segue con precisione la partitura, ma dal terzo atto accade qualcosa. Il maestro esprime tutta la sua verve e il suo carattere rendendo magistralmente le ultime parti di quest’opera giovanile di Puccini, facendo emergere pienamente la sua energia, la sua freschezza e la sua drammaticità. L’Orchestra del Teatro Regio risponde con dedizione e cura alla bacchetta del maestro contribuendo significativamente all’allestimento. Pari contributo è offerto dal Coro del Regio veramente efficace, compatto, presente e in particolare nel terzo atto si esprime con determinazione e convinzione, sostenendo i solisti.
Protagonista assoluto della serata Gregory Kunde nei panni di Renato Des Grieux. Convincente, possente, appassionato. Riempie la scena con un’energia che trascende i suoi sessantatré anni perché il canto è la sua vita. Generoso in ogni gesto e in ogni emissione vocale. Una capacità proiettiva veramente impressionante. Una robustezza e uno squillo notevoli. Conquista il pubblico torinese che lo sostiene e lo ama.
María José Siri, invece, è altalenante nell’interpretazione di Manon. Poco convincente in particolare nei primi due atti dove risulta ingessata e incapace di rendere la vezzosità e i capricci del suo personaggio. Molto scattosa nei movimenti e poco leggiadra anche quando danza. Il soprano vocalmente si muove molto meglio, in quanto dotato di grande tecnica, di un buon controllo di emissione, di un buon timbro e di una buona elasticità, con cui passa dal registro grave a quello acuto con una certa naturalezza. Negli ultimi due atti raggiunge pienamente il pubblico con la sua grande intensità drammatica.
Elegante l’interpretazione di Carlo Lepore che, grazie al timbro profondo, ben definito e alla sua versatilità scenica, rende con maestria e gran gusto Geronte di Ravoir;
Buona la prova di Dalibor Jenis nei panni di Lescaut. Grande musicalità la sua e buona vocalità. Tratteggia bene in particolare la spavalderia del fratello di Manon.
Valida anche la performance di Francesco Marsiglia nei panni di Edmondo, dotato di voce chiara, pulita ma poco potente.
Tra i comprimari si distinguono per eleganza e vocalità Saverio Pugliese (maestro di ballo), l’efficace versione del Musico di Clarissa Leonardi, l’autorevole Capitano di marina di Cristian Saitta, e il brillante mimo Francesco Scalas (parrucchiere). Completano il tenore Cullen Gandy (lampionaio) e il basso Dario Giorgielè (sergente degli arcieri / oste).
Annunziato Gentiluomo
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