Sicuramente un allestimento curato nel dettaglio quello proposto dal Teatro Regio per Tosca di Giacomo Puccini, in prima europea proprio nel capoluogo piemontese. L’alta drammaticità e il pathos dell’opera pucciniana vengono ben rappresentati dalla regia di Daniele Abbado che mostra enorme sensibilità soprattutto nell’utilizzo delle scene, firmate da Luigi Perego, che rientrano a pieno titolo tra i personaggi
Sicuramente un allestimento curato nel dettaglio quello proposto dal Teatro Regio per Tosca di Giacomo Puccini, in prima europea proprio nel capoluogo piemontese. L’alta drammaticità e il pathos dell’opera pucciniana vengono ben rappresentati dalla regia di Daniele Abbado che mostra enorme sensibilità soprattutto nell’utilizzo delle scene, firmate da Luigi Perego, che rientrano a pieno titolo tra i personaggi della pièce. Mutano come se fossero viventi: da un piano girevole, a uno inclinato, a un altro inclinato in movimento.
Il primo è stato un atto assolutamente classico, tradizionale, nonostante un finale monumentale e vigoroso in cui il Te Deum ha riempito solennemente tutto il teatro. Colpisce da subito la signorilità di Scarpia, che entra in scena con modi fini ed eleganti. Tale specificità, che si oppone a una più popolare grettezza del personaggio, si conferma anche nel primo approccio diretto, nel secondo atto, con Floria quando galantemente la libera dalla mantella che adagia sulla sedia. Piano piano, quando la tensione emotiva e il rifiuto della donna raggiungono il proprio culmine, avviene la trasformazione in cui i bassi istinti hanno il sopravvento su di lui: getta con disprezzo a terra la stessa mantella a testimonianza della sua involuzione, manifestando il ben noto sogghigno da demone. Emozionante il finale del secondo atto con Floria che prima di scappare si gira un’ultima volta verso Scarpia ormai esangue. Si percepisce in lei una sospensione, una dilatazione temporale che oscilla fra la volontà di lasciarlo per riabbracciare l’amato Caravadossi e il senso di colpa per essersi macchiata, anche se per difesa, di omicidio, mentre i due candelabri accesi continuano a illuminare il corpo dell’uomo. Suggestiva la presenza di uno specchio deformante capace di riflettere le falsità, le atrocità, i tradimenti e la perversione di tutti i personaggi, accecati dai propri bisogni e in preda ai propri moti emotivi interiori.
Il terzo atto, caratterizzato da un fondale video, segue registicamente la linea tradizionale, con un finale insolito giacché Floria muore di crepacuore e non si getta nel vuoto, mentre avanza l’immagine video di una donna che si muove verso il pubblico in un’ascensione salvifica di grande effetto nonostante la semplicità.
In sintesi dunque una regia veramente ben curata. Interessante la gestione degli spazi tanto nei duetti quanto nelle parti col coro e i figuranti, e veramente convincente la centralità delle scene che partecipano alle vicende, con un tocco di multimedialità. Il tutto è funzionale alla ben riuscita creazione di un’atmosfera metafisica, senza rinunciare ai simboli propri del dramma, tra cui la cupola di Sant’Andrea, la celebre statua sulla sommità di Castel Sant’Angelo e la grande sala di Palazzo Farnese. La regia di Abbado sottolinea l’alto contenuto drammatico dell’opera, così ricca di colpi di scena, che ruotano attorno al triangolo dei protagonisti, su cui è chiaro un grande lavoro attoriale. Nel complesso impressionante come allestimento: le luci di Valerio Alfieri creano profondità e spessore, colorando sapientemente le diverse scene; molti belli, eleganti e perfettamente pertinenti i costumi di Luigi Perego; e i video di Luca Scarzella riescono a trascinare gli spettatori fra le mura di Castel Sant’Angelo, offrendo uno spaccato preciso della location dei fatti rappresentati.
Non convincente la direzione musicale di Renato Palumbo che non ha saputo tratteggiare i momenti più imponenti dell’opera e che non è riuscita a calarsi nell’allestimento che sembrava viaggiare su altri binari. Buone le performance del Coro del Teatro Regio e del Coro di voci bianche del Teatro Regio e del ConservatorioG. Verdi, istruiti da Claudio Fenoglio, e tecnicamente sempre all’altezza l’Orchestra del Regio.
Rispetto al cast, tecnicamente validissimi i tre protagonisti, anche se nessuno è riuscito ad emozionarci particolarmente.
Abbiamo apprezzato in particolare le performance dei due antagonisti. Roberto Aronica ha sapientemente interpretato il ruolo di Cavaradossi. Appassionato ma mai eccessivo, si è distinto subito per la sua musicalità e per il suo timbro pulito e luminoso. Nella celeberrima aria E lucevan le stelle però, nonostante la precisa tecnica, la tenuta dei fiati e la sua estensione assolutamente all’altezza della partitura, non è stato capace di toccare le corde del nostro animo, non rendendone perfettamente l’aspetto trasognato, il dolore e la disperazione per quanto da lì a poco avrebbe vissuto. Carlos Álvarez ha reso con precisione e personalità il complesso e impegnativo personaggi di Scarpia, dotato di una tecnica vocale molto raffinata e di un timbro rotondo inconfondibile. Ha ben tratteggiato tutte le sfumature del personaggio, esprimendo una verve scenica assolutamente convincente. Veramente penetrante. Rispetto a María José Siri, impegnata nel ruolo del titolo, abbiamo apprezzato la tecnica, la presenza scenica e il timbro duttile, morbido, lirico e luminoso, ma la resa di tutte le sfumature del personaggio non è stata propriamente brillante. Valida nel vezzo capriccioso di Tosca-artista, meno convincente nelle parti drammatiche in cui, a volte, è apparsa eccessiva. Coerente e col giusto pathos nel I atto quando Scarpia vuole ingannarla, mostrandole il ventaglio con lo stemma degli Attavanti che aveva trovato tra i colori di Caravadossi, e instillandole il dubbio del tradimento, ma poi meno coinvolgente in quelli a venire dove ci saremmo aspettati una maggiore intensità.
La celeberrima Vissi d’arte e vissi d’amore è fluita via lasciandoci realmente poco. Brillante il baritono Roberto Abbondanza che ha interpretato eccellentemente Il sagrestano, distinguendosi per una vocalità piena e corposa e per una brillante verve scenica. Degna di nota l’interpretazione di Gabriele Sagona nei panni di Cesare Angelotti, dotato di grandi capacità attoriali e buona vocalità. Valide le performance di Nicolò Ceriani (Sciarrone), di Lorenzo Battagion (Un carceriere) e di Fiammetta Piovano (Un pastorello), mentre veramente limitata e poco suggestiva l’interpretazione di Luca Casalin (Spoletta) che ci ha lasciati alquanto basiti.
In sintesi un buono spettacolo gustabile ancora nei giorni 16 (ore 15), 17, 18 e 20 alle ore 20.00, e 21 (ore 15) di febbraio.
Annunziato Gentiluomo
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