Sarà perché, durante lo svolgimento del dramma si delineano i destini dei principali protagonisti della Rivoluzione francese; sarà per la furiosa energia con la quale sostengono i loro aspri e insanabili contrasti; sarà per i brividi di paura e repulsione che si avvertono quando si sentono declamare incredibili teorie a sostegno della repressione: per tutto
Sarà perché, durante lo svolgimento del dramma si delineano i destini dei principali protagonisti della Rivoluzione francese; sarà per la furiosa energia con la quale sostengono i loro aspri e insanabili contrasti; sarà per i brividi di paura e repulsione che si avvertono quando si sentono declamare incredibili teorie a sostegno della repressione: per tutto questo, e altro ancora, la Morte di Danton, rappresentata in Prima Nazionale al Teatro Carignano di Torino, emoziona e affascina.
La trama è asciutta e ricostruisce l’atmosfera della fase finale della Rivoluzione – il Regime del Terrore – che dal settembre 1793 per circa un anno, oltre a concretizzare timori e dubbi, ha segnato un elevatissimo numero di violenze e condanne a morte. Ci riporta le incredule e rassegnate riflessioni di Jacques Danton e Maximilian Robespierre, compagni prima e avversari dopo, entrambi tragicamente mandati, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, alla ghigliottina, agghiacciante strumento di morte, capace di distruggere oltre che gli esseri umani anche i più alti ideali. L’uno, vitale e vaporoso, consapevole dei limiti della rivolta, deciso a non trasformarla in puro Terrore, parla di una visione del mondo liberale e di una società tollerante finalizzata alla libertà dell’uomo. L’altro, ossessionato e stralunato, febbrile nel suo fanatismo, propugna instancabile l’intransigenza e l’intolleranza. Entrambi però paiono tristi, rancorosi, drammaticamente fragili, comunque sottomessi al proprio ineluttabile e imponderabile destino.
L’opera teatrale s’ispira all’importante e profondo testo di Georg Büchner – scrittore e drammaturgo tedesco della prima metà dell’Ottocento, scomparso prematuramente non prima di aver svolto attivamente anche numerose attività politiche a favore della libertà e dei diritti umani – che sottopone la platea a una serie di sottili provocazioni mentre rinnova il fascino di coloro che hanno messo a repentaglio la propria esistenza per un ideale che sovente non si è concretizzato; risveglia coscienze assopite; ricorda che ogni individuo coltiva nella propria anima la volontà di trasformare il mondo; risveglia gli ideali di giustizia; suggerisce di perseverare nella ricerca, anche individuale, della legalità.
Da qui la splendida intuizione di Mario Martone, intelligente e autorevole regista napoletano, che ha confezionato una rappresentazione certamente avvincente e magistralmente centrata applicando modi, tempi, ritmi e impianti di stampo cinematografico. I rimandi al libertinaggio di Jacques Danton; il nudo integrale di una popolana a lui molto vicina; la presenza in scena di un bambino di quindici mesi, figlio di un iscritto agli Stati Generali; alcuni riusciti momenti collettivi; gli attori sparsi tra il pubblico impersonando mendicanti, soldati, popolani ciarlieri, condannati a morte; musiche d’impatto; giochi di luci ad hoc; cambi di spazio; scenografie ben orchestrate sovente dominate da pesanti tendaggi di velluto scarlatto, sinistro presagio delle imminenti disgrazie; cinque diverse ambientazioni (salotto, piazza, club, tribunale, carcere) frutto di una minuziosa ricostruzione e costumi ben modellati trasformano il teatro in un emozionato e corale tributo alla Storia.
Infatti, è l’inafferrabile, incessante e stravagante susseguirsi di eventi – documentati, raccontati, testimoniati nei millenni che talvolta siamo indotti a semplificare e banalizzare – che tiene la scena per tre ore d’intenso teatro. La Storia dalla quale il genere umano sembra ostinatamente non voler imparare e che suscita un’impaziente nostalgia per l’altrove.
Si muove agevolmente sulla scena un gruppo ben orchestrato di eccellenti attori. Spiccano i talenti di Giuseppe Battiston, empatico e perfetto nel ruolo di Danton, e di Paolo Pierobon, dolente Robespierre. Sono contornati da una trentina di altri grandi interpreti che s’impongono per la loro sapiente e decisiva presenza. Tra questi, Iaia Forte, stimata attrice napoletana amata in ugual misura da critica e pubblico, nel ruolo di Julie, designata a confortare Danton nel momento drammatico della condanna capitale; Roberto De Francesco, versatile caratterista ampiamente apprezzato nella parte di Philippeau; Paolo Graziosi (Thomas Payne) e Alfonso Santagata (Lacroix).
Ora la rappresentazione, che è stata seguita con forte interesse dall’entusiasta pubblico piemontese, prosegue al Piccolo Teatro Strehler di Milano, dove rimarrà in scena fino al 13 marzo 2016.
Mauro Pedron
[ph Mario Spada]
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