Dalla convergenza delle esperienze maturate dall’Associazione Maestri di Strada Onlus e da quelle del Museo Luzzati di Genova, nasce Ai confini dell’educazione, una tre giorni, dal 14 al 16 gennaio presso il Palazzo Ducale – Sala del Minor Consiglio – in Piazza Matteotti a Genova, convegno che vuole riunire in Italia alcune delle realtà nazionali e
Dalla convergenza delle esperienze maturate dall’Associazione Maestri di Strada Onlus e da quelle del Museo Luzzati di Genova, nasce Ai confini dell’educazione, una tre giorni, dal 14 al 16 gennaio presso il Palazzo Ducale – Sala del Minor Consiglio – in Piazza Matteotti a Genova, convegno che vuole riunire in Italia alcune delle realtà nazionali e internazionali che in questi anni si sono cimentate col problema educativo in contesti difficili, mettendo in luce le metodologie sperimentate attraverso la parola, la scrittura, il teatro, l’arte.
Questo incontro, afferma Cesare Moreno, nasce dall’idea niente affatto nuova che le terre di confine siano quelle in cui si realizzano gli incontri più fecondi. È nuovo invece cercare di mettere insieme ciò che si realizza ai confini del mondo, ai confini delle città, ai confini dell’animo umano, ai confini dell’umano. Tra questi luoghi geografici, topografici e mentali c’è una affinità che è l’apparente impossibilità del dire: realtà indicibili ed indescrivibili che solo con la loro esistenza sono un attentato a qualsiasi razionalità consolatoria.
L’assurdo ch’è nel mondo, sfida la ragione, rivela la fragilità delle costruzioni sociali, e della propria maschera sociale e lascia ciascuno solo di fronte alla propria coscienza. Trovare un filo che non c’è, un senso che non è stato pensato da nessuna mente, un significato che non appartiene alla cosa in sé ma è una costruzione dell’intelletto umano, queste sono le sfide che incontriamo ai confini del mondo e dell’umano.
Uomini pieni di coraggio, quel coraggio che consiste nel guardare in faccia alla propria debolezza piuttosto che esibire inutili muscolature, hanno esplorato questi confini e “sono scampati a raccontarlo” o meglio la capacità di narrazione ha consentito loro di scamparla.
Lo spazio della parola e del pensiero sono spazi sociali in cui si cerca e si crea il senso
Il raccontare è l’attività sociale che consente di creare un legame che non occulta crude verità ma al contrario riesce a trovare un senso attraverso la narrazione stessa e la comunità che viene istituita dal collettivo narrare e raccontarsi. In una comunità istituita dal raccontare chi parla esprime se stesso e al tempo stesso un gruppo, sta continuamente dentro di sé e fuori di sé, agisce ed è agito ed in questo modo cresce nelle relazioni ed attraverso esse. In una comunità narrativa si realizzano contemporaneamente la conoscenza di sé, il dialogo, la maieutica .
Dunque il filo che attraversa le diverse parti di questo incontro è quello della narrazione, anzi si tratta di un canapo in cui sono intrecciate le fibre corte di pensieri frammentari e stentati, di parole vaghe o imprecise, di stati onirici, di approcci non verbali, immagini, messe in scena.
Perché la parola e la narrazione fanno fatica a venire fuori, a trovare la propria strada. Quando si vive ai confini è necessario partire dal “grado zero della parola”, da quegli stati in cui le emozioni sono invasive e non danno spazio al movimento di parola e di pensiero. Le arti mimetiche consentono di esprimere l’umano quando la parola è ancora confusa, quando non ha ancora preso la distanza dall’essere. Nelle periferie si intrecciano i sentieri dell’arte e della parola ordinatrice in percorsi di conoscenza che sono unici e speciali per ciascuno. Ed è speciale il modo in cui l’umano si esprime negli spazi traslati, in metafore e messe in scena che consentono di guardarsi dal di fuori mentre si è in gioco nella scena.
Nelle strade delle periferie le arti mimetiche ed il teatro ritrovano il senso originario di rappresentazioni e mediazioni che aiutano i processi sociativi piuttosto che rappresentare modi privati e consolatori di ridurre l’umano a consumo culturale.
Ai quattro angoli del mondo la scrittura, le arti plastiche ed il teatro sono alla base delle pratiche educative più efficaci per affrontare situazioni difficili ed estreme e al tempo stesso rinnovano in modi attuali l’originario processo di incivilimento.
Si viene configurando così un nuovo paradigma educativo, talmente nuovo da essere antico quanto il mondo, un paradigma in cui la mente umana rielabora il materiale che incontra nel proprio percorso a configurare insieme una rappresentazione del mondo e del proprio sé.
La pedagogia del viandante, del maestro di strada non è una opzione ideologica, ma l’unica pedagogia possibile in un mondo complesso dove periferia e centro interagiscono come in un vortice caotico.
In questo incontro quindi confluisce anche una pedagogia che è al tempo stesso formazione degli adulti che formano le nuove generazioni. I seminari METIS hanno costituito il primo esperimento su larga scala di formazione dei docenti seguendo il metodo della pedagogia itinerante, conducendo i docenti a costruire il proprio sapere professionale utilizzando il materiale che hanno rinvenuto in se stessi.
Infine il paradigma educativo che si sviluppa nelle periferie serve a rifondare il patto intergenerazionale ossia a fondare comunità che siano realmente accoglienti per le nuove generazioni. Consideriamo quindi che la struttura fisica delle periferie debba arricchirsi di spazi fisici e mentali che attivano la cittadinanza e che urbanisti ed educatori debbano dialogare perché dalle periferie nasca una nuova cittadinanza fondata sulle relazioni piuttosto che sullo scambio mercantile. Gli spazi urbani e mentali delle periferie lasciati a se stessi producono degrado umano, intolleranza, razzismo, sessismo. La lotta all’intolleranza e alla violenza comincia quando si stabiliscono legami di prossimità e rappresentazioni condivise di sé. I massacri ed i genocidi nel cuore della “civiltà” accompagnano l’estendersi del modello di sviluppo dell’occidente almeno dalla prima guerra mondiale e fanno parte dell’assurdo insoluto ch’è nel mondo eppure sappiamo che tali enormità sono cominciate spesso sui banchi di scuola, da piccole violenze verbali e simboliche che sono andate sedimentandosi in un sostrato di odio pronto ad esplodere. Uno dei fili che attraversano questo incontro è quindi quello della lotta alle diverse forme di intolleranza e di violenza qui rappresentate da coloro che hanno partecipato al progetto europeo Daphne.
Le sessioni di lavoro del convegno comprendono sei ambiti: Frontiere sociali, culturali e psichiche (Angelo Elia, Grazia Liprandi, Armando Milani, Sergio Noberini, Santa Parello, Katia Provantini); Dispersione scolastica in Italia e Liguria (Elmina Bravo, Riccardo Damasio, Dino Castiglioni, Alessandro Clavarino, Maddalena Colombo, Teresa Marcelli, Mauro Palumbo, Elena Tramelli); Educazione e arte (Progetto Axe, Brasile: Marcos Candido Carvalho, Cesare De Florio La Rocca, Roberta Giassetti, Nicola Laieta, Eva Marxen, Gianni Nuti, Elisa Pezzolla, Paolo Vittoria); Pedagogia e narrazione (Pino Boero, Ilaria Iorio, Franco Lorenzoni, Santa Parello, Roberta Passoni, Institucion educativa Benjamin Herrera, Colombia: Oscar Henao Mejia); Periferie, mito e desiderio (Clelia Bartoli, Giovanna Barzanò, Maddalena Bartolini, Agostino Petrillo, Une école pour les enfants de Seine- Saint-Denis, Francia: Joseph Rossetto); e Insegnanti e viandanti (Luigi Berlinguer, Alessandro Cavalli, Cesare Moreno).
Tra i relatori citati segnaliamo Katia Provantini, psicologa e presidente della Cooperativa Minotauro, Maddalena Colombo, Sociologa dell’Università Cattolica di Milano e Gianni Nuti dell’Università di Aosta.
Un momento altamente formativo che pone al centro finalmente il discente e le buone pratiche che permettono di coinvolgerlo anche in contesti difficili, un seminario, come dicono gli organizzatori, di studi per educatori, amministratori, cittadini che sognano città rinnovate dalla buona crescita dei giovani.
Annunziato Gentiluomo
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