Nata nella prima metà del secolo scorso in Francia, la psicomotricità educativa oggi si sta diffondendo ampiamente anche nel nostro paese. Utile nelle diverse fasi della vita, può essere praticata dal nido alla primaria, con i diversamente abili di tutte le fasce d’età, per concludere nelle case di riposo. Ma sono ancora tante le persone
Nata nella prima metà del secolo scorso in Francia, la psicomotricità educativa oggi si sta diffondendo ampiamente anche nel nostro paese.
Utile nelle diverse fasi della vita, può essere praticata dal nido alla primaria, con i diversamente abili di tutte le fasce d’età, per concludere nelle case di riposo.
Ma sono ancora tante le persone che chiedono cosa sia la psicomotricità e su cosa si basi. La risposta non si esaurisce in poche parole, né in un’unica definizione. Dal termine psicomotricità possiamo dedurre che coinvolge mente e corpo nella relazione con sé e con l’altro. Ed è corretto. Ma le sedute di psicomotricità non possono essere tenute né da uno psicologo, né da un laureato in Scienze Motorie, bensì dalla figura dello psicomotricista, formato e sensibilizzato da scuole biennali o triennali, atte a preparare alla conduzione della terapia psicomotoria. Lo psicomotricista non dev’essere giudicante, ma preparato all’ascolto dell’altro e all’osservazione, pronto per essere “strumento per cogliere i bisogni e le storie” dell’individuo o del gruppo.
Poche le regole, quelle essenziali per non farsi male, per andare d’accordo. Insomma, come dice Giuseppe Nicolodi, un formatore qualificato:“per giocare bene”.
Le scuole sono diverse, ce ne sono più “Relazionali” e più “Funzionali” e quindi anche i modi di condurre una seduta sono diversi, ma sempre per arrivare allo stesso fine e cioè quello di permettere all’individuo di manifestare e riscoprire se stesso esprimendo la sua espressività e i suoi bisogni nel gioco.
Ad ogni incontro lo psicomotricista deve guardare con occhi nuovi. Lo “stesso” gruppo ad ogni incontro è un gruppo nuovo. Non c’è aspettativa, né schema dove l’individuo è rinchiuso, ma solo ascolto e risposta al fine di permettere all’altro di essere e di poter cambiare.
Solitamente un ciclo di psicomotricità educativa si compone di una decina di incontri, possibilmente in una stanza adibita allo scopo e riconoscibile per la presenza di materassi, cubi di gommapiuma, oggetti per fare suoni, palle, corde, eccetera. Non si tratta però di ginnastica, né di giochi competitivi e tanto meno di terapia. Si tratta di aiutare a parlare di cosa si è fatto, del perché, di come ci si è sentiti. Tutto ciò al fine di sciogliere i blocchi e acquisire maggiore consapevolezza fisica, psicologica e relazionale.
Infine, la psicomotricità dovrebbe essere anche una materia scolastica, in quanto, tramite il gioco libero, struttura la personalità, i parametri psico–motori, le capacità di ascolto di sé, relazionali e i pre-requisiti per l’apprendimento.
Lorenzo Ramasco
[Fonte delle immagini: www.physioss.it, sites.google.com, www.psicolab.net, www.saltapicchio.it]
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