Un’inaugurazione della Stagione d’Opera e di Balletto 2022 del Teatro Regio di Torino sicuramente non in pompa magna nonostante la scelta dell’opera, La bohème di Giacomo Puccini, che simbolicamente si lega alla prima assoluta avvenuta proprio al Regio il 1° febbraio 1896, e che vuole celebrare un ritorno alla normalità. Si ricordi, infatti, che la stessa produzione venne cancellata, a pochi giorni dalla messa in
Un’inaugurazione della Stagione d’Opera e di Balletto 2022 del Teatro Regio di Torino sicuramente non in pompa magna nonostante la scelta dell’opera, La bohème di Giacomo Puccini, che simbolicamente si lega alla prima assoluta avvenuta proprio al Regio il 1° febbraio 1896, e che vuole celebrare un ritorno alla normalità. Si ricordi, infatti, che la stessa produzione venne cancellata, a pochi giorni dalla messa in scena nel marzo 2020, a causa del primo lockdown.
La bohème del nuovo allestimento realizzato dal Teatro Regio non convince, un’inaugurazione ben lontana da quelle di quattro anni fa quando l’offerta dell’ente lirico torinese dava lustro al capoluogo torinese, alla regione Piemonte e all’Italia tutta.
Abbiamo visto la recita di martedì 15 febbraio col primo cast e abbiamo notato diverse deficienze e ingenuità.
Le scene curate da Leila Fteita e i costumi di Nicoletta Ceccolini, con la partecipazione del pittore scenografo Rinaldo Rinaldi, ripresi dai bozzetti e dai figurini originali di Adolf Hohenstein, disegnati per la prima assoluta torinese del 1896 e custoditi dall’Archivio Storico Ricordi di Milano, sono assolutamente tradizionali e ricordano la Parigi dell’Ottocento. Le travi a vista, il tavolo, le sedie, la stufa e il letto della soffitta di Rodolfo, e i tavolini del Caffé Momus ci riportano a quegli anni, riletti attraverso l’esistenza spensierata dei giovani artisti bohémien protagonisti dell’opera.
La regia, firmata da Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi, nel complesso fedele al libretto, è a tratti ingenua e macchiettistica: ha richiesto ai cantanti dei movimenti e delle gestualità ripetitivi, scattosi, esagerati e poco naturali, e non ha ben gestito la fine del primo atto, quando in scena è presente una massa significativa di persone. Non c’è una chiara visione della gestione degli spazi e anche nei dialoghi pare sempre manchi qualcosa.
La direzione dell’Orchestra di Pier Giorgio Morandi è stata altalenante e non ha permesso una totale immersione nella ricchissima partitura dell’opera pucciniana, non riuscendo a commuovere nemmeno nel finale. Non ha ben scandito i momenti espansivi, schiacciando il tutto con un approccio sinfonico quasi omologante. Non ha sostenuto, al meglio, i cantanti: difatti, non lucido è apparso il rapporto tra la buca e gli interpreti che, in certi momenti sembravano in ritardo.
Andando al cast, abbiamo apprezzato la vocalità di Valentin Dytiuk: proiettata e argentea, degna di un buon Rodolfo, agile negli acuti e stabile nei registri più centrali. Ai nostri occhi ha salvato la recita. Maritina Tampakopoulos ha interpretato con valida tecnica il ruolo di Mimì, focalizzandosi troppo sul “compito” e tenendo bloccata l’anima emotiva del personaggio, su cui ha pesato una dizione non pulita. Valentina Mastrangelo, dalla voce limpida e luminosa, ha ben tratteggiato i vezzi e i capricci di Musetta raggiungendo nella preghiera alla Vergine un climax drammatico interessante. Ilya Kutyukhin, che ha cantato tutte le recite dalla generale del primo cast, ben conosce il personaggio di Marcello che rende con naturalezza. La sua voce è chiara e si muove con intensità anche nei registri più acuti. Vincenzo Nizzardo ha interpretato, con grazia e precisione, il personaggio di Schaunard. La sua figura, la sua presenza scenica, la sua voce piena, ricca di armonici, il suo valido fraseggio e la consapevolezza del proprio strumento lo hanno reso un valore aggiunto per l’allestimento. Riccardo Fassi è stato un buon Colline. La sua giovane età ha, in principio, condizionato la nostra percezione legata all’immagine del saggio parigino, da cui ci aspettiamo maggiore consistenza e spessore vocale mentre alla fine lo abbiamo apprezzato perché ha reso in modo più leggero e personale il ruolo offrendoci un nuovo punto di vista sul filosofo che comunque nell’opera è un giovane tra i giovani. Buona la performance di Matteo Peirone nei panni di Benoît e Alcindoro.
Valide tanto l’esecuzione del Coro del Teatro Regio di Torino, istruito dal maestro Andrea Secchi, quanto quella del Coro di voci bianche del Teatro Regio diretto dal maestro Claudio Fenoglio, nonostante i limiti direttivi detti poc’anzi.
Diciamo dunque che l’analisi di Carlo Bersezio sulle pagine de La Stampa del 2 febbraio 1896 «Bohème non lascia grande impressione sull’animo degli auditori, non lascerà grande traccia nella storia del nostro teatro lirico», sintetizza quello che abbiamo ascoltato, ma per fortuna non rappresenta quello che la La bohème è stata in realtà e continua ad essere.
Confidiamo nelle prossime opere in cartellone a Torino giacché sappiamo quanto qualità e maestria vi siano nel Teatro Regio.
Annunziato Gentiluomo
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