Adriana Lecouvreur, proposta dal Teatro Ponchielli di Cremona il 20 e il 22 novembre scorsi, è realmente un buon allestimento che nutre i sensi. Efficaci e convincenti sono risultate le interpretazioni registiche e quella della direzione musicale. Carlo Goldstein, agilmente e con cura, ha colorato con eleganza, ogni rigo dello spartito di Cilea, contando su un’ottima orchestra, quella de
Adriana Lecouvreur, proposta dal Teatro Ponchielli di Cremona il 20 e il 22 novembre scorsi, è realmente un buon allestimento che nutre i sensi. Efficaci e convincenti sono risultate le interpretazioni registiche e quella della direzione musicale.
Carlo Goldstein, agilmente e con cura, ha colorato con eleganza, ogni rigo dello spartito di Cilea, contando su un’ottima orchestra, quella de I Pomeriggi Musicali, che si è saputa imporre con forza espressiva, confermandosi una base importante per l’allestimento.
Ivan Stefanutti ha saputo immediatamente far immergere lo spettatore in un set cinematografico, facendolo entrare e uscire dal camerino, in un continuo gioco di ribalta e retroscena, ricorrendo al lessico goffmaniano, giogo, in cui, in particolare la protagonista, finirà per smarrirsi. Anche le scene leggere contribuiscono all’attuarsi dell’aggancio dello spettatore, facilitando un’univoca chiave interpretativa. Suggestive le vetrate liberty e bellissimi i costumi di primo Novecento.
Rispetto agli interpreti, sicuramente spiccano i ruoli principali.
Daria Masiero, nel ruolo del titolo, è convincente fin dal suo ingresso, fondendo in modo estatico la donna e l’artista. Bella vocalità, precisa scenicamente e attorialmente. Mai forzata e sempre perfettamente coerente col personaggio. Degno di menzione, a chiosa del terzo atto, il “monologo del richiamo” dalla Fedra di Racine e, sulle ultime parole – come fanno le audacissime impure cui gioia è tradir – indica la Principessa di Bouillon, che giura di vendicarsi mentre il pubblico, compiaciuto, applaude l’attrice che si allontana con Michonnet.
Buona vocalità anche per l’antagonista, La principessa di Bouillon, ben interpretata dall’elegante e grintosa Tiziana Carraro.
Sempre perfettamente nella parte Francesco Paolo Vultaggio che ha saputo sapientemente rendere il complesso ruolo di Michonnet.
Buona la performance del tenore Angelo Villari (Maurizio) che si distingue per estensione, chiarezza e controllo vocale.
Emerge per verve scenica, buona vocalità e accattivante interpretazione Matteo Macchioni nel ruolo di L’abate di Chazeuil.
Molto intenso l’ultimo atto, anche musicalmente. Adriana, avvelenata, si trasfigura proprio come accade per Violetta in La traviata. Ormai liberata dal giogo del dolore, si immola con la morte per l’arte, raggiungendo l’immortalità e celebrando la fusione tra la persona e l’artista. Anche in questo passaggio complesso la Masiero dà prova di carisma e di grande professionalità.
Da segnalare per grande intensità emotiva e precisione tecnica sia il duetto femminile (Masiero-Carrato) sia quello maschile (Villari-Vultaggio).
Anche buona la performance del Coro del Circuito Lirico Lombardo diretto dal maestro Antonio Greco, che si è licenziato alla fine del terzo atto, con grande consenso di pubblico.
Molto ben curata la coreografia del terzo atto di Simonetta Schiavetti, focalizzata sull’interprete maschile, il ballerino ungherese Akos Barat, la cui performance è stata veramente di impatto.
Buona anche la direzione delle luci, firmate da Paolo Coduri de’ Cartosio.
Nel complesso un buon allestimento, un’Adriana Lecouvreur ben interpretata, uno spettacolo decisamente piacevole, una buona messa in scena anche se manca un po’ di brio, un guizzo capace di “marchiarla” a fuoco nella memoria dei presenti. La firma pare opaca, quasi ingiallita, come se, essendo un allestimento datato, si sia smarrita un po’ la bellezza dell’unicità e la grazia dell’originalità… Chissà cosa succederebbe se fosse ripresa e aggiornata. Secondo noi, godrebbe di un plus in più.
Annunziato Gentiluomo
[Foto: Alessia Santambrogio ph]
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