Otto minuti di applausi per la prima assoluta del VIE Festival 2014 di Nanni Garella, all’Arena del Sole di Bologna dal 15 al 26 Ottobre. Ennesima manifestazione di bravura per il regista molisano, bolognese d’adozione, dal 1999 al lavoro con la compagnia teatrale di Arte e Salute onlus, l’associazione emiliana che coniuga la pratica artistica col
Otto minuti di applausi per la prima assoluta del VIE Festival 2014 di Nanni Garella, all’Arena del Sole di Bologna dal 15 al 26 Ottobre. Ennesima manifestazione di bravura per il regista molisano, bolognese d’adozione, dal 1999 al lavoro con la compagnia teatrale di Arte e Salute onlus, l’associazione emiliana che coniuga la pratica artistica col lavoro nel campo della salute mentale.
Dopo aver affrontato Pinter, Pirandello, Brecht, Pasolini, Scarpetta, Kondor, riscuotendo successi e riconoscimenti (Premio Ubu, Premio Hystrio, Premio della Critica), gli attori di Arte e Salute, ormai professionisti, dopo un lungo percorso di formazione e lavoro teatrale, si cimentano questa volta con un classico dell’avanguardia teatrale del secondo Novecento firmato Peter Weiss, regista e drammaturgo tedesco vicino a Brecht e al suo teatro d’accusa. Il titolo, spesso ricordato nella versione ridotta Marat-Sade per la storica reinterpretazione di Peter Brook, è La persecuzione e l’assassinio di Jean-Paul Marat, rappresentato dalla compagnia filodrammatica dell’ospizio di Charenton sotto la guida del marchese de Sade.
Scritto da Weiss nel 1963 e rappresentato per la prima volta allo Schiller-Theater di Berlino il 26 Aprile del 1964, il dramma approda oggi ai suoi interpreti naturali: ovvero, il gruppo di pazienti psichiatrici di Arte e Salute, che hanno dunque modo di rappresentare quali fossero le condizioni degli internati nei manicomi.
Lo spettacolo, mirabilmente interpretato dal regista-attore Garella/Sade e da una delle più sensibili attrici italiane, Laura Marinoni, nei panni della fanatica Charlotte Corday, è la messa in scena degli ultimi giorni di vita di Jean-Paul Marat, padre della rivoluzione, tredici anni dopo la fatale coltellata della Corday, da parte degli internati del manicomio parigino di Charenton, manicomio che realmente ospitò Sade tra 1801 e 1814, e che qui lo vede regista della pièce. Il risultato è un’opera polifonica, in cui arguzia e dialogo intellettuale si mescolano a umorismo e rozze sonorità popolari, in un continuo gioco di teatro nel teatro fatto di continue interruzioni e battibecchi che si svolgono tra gli attori, regista (Sade) e direttore del manicomio, oltre che tra regista (quello vero, Garella) e Dottoressa della clinica psichiatrica.
Un dramma storico non fatto solo di nichilismo. Un dramma in perenne, continua oscillazione tra il teatro crudele di Artaud e quello epico di Brecht. Un grande dibattito sulla libertà, che vede fronteggiarsi da un lato Marat, il più radicale e intransigente difensore della giustizia rivoluzionaria, e dall’altro il Divin Marchese, intellettuale anarchico fino al midollo, che alla visionaria utopica e rivoluzionaria dell’amico del popolo contrappone l’atea filosofia radicale della libertà, per molti versi anticipatrice dell’esistenzialismo moderno.
La mise en scène poi, che abbandona la tradizionale ripartizione in due atti per assestarsi su una durata complessiva di un’ora e quindici minuti circa priva di interruzioni, ma non di intermezzi corali, non è ancora quella povera di Grotowski. È vero però che la forma cede il passo al contenuto. Se i costumi infatti sembrano obbedire a un principio di realismo mimetico, simboliche sono le lenzuola istoriate («matti si, schiavi no») e le trapunte spoglie. Simbolica è la gabbia di ferro che, quasi sipario permanente, limite o protezione dalla scena, è la grande intuizione di un regista che ha ormai imparato a mostrare al pubblico, attraverso l’arte, il percorso di affrancamento dalla malattia e l’anelito verso la piena libertà dei suoi attori-personaggi.
Un dramma in musica, quello di Garella, che si serve strumentalmente della calda e tratti fragile voce della Marinoni-Corday per rompere i chiavistelli che chiudono «le prigioni interiori delle malattie della mente, […] le celle dei carceri, […] per spalancarci davanti agli occhi un mondo di uomini uguali, nella loro diversità e nella loro bellezza» (N. Garella). Matti, o semplicemente attori: diversi, anime fragili, sempre in fuga dalla quotidianità. Attori, matti a tutti gli effetti. «Ecco che in un baleno tutto mi è chiaro. Non devo fare niente di strano. Il matto è un attore e l’attore è un matto» (L. Marinoni).
In concorso al VIE Festival, ancora una Nanni Garella e i suoi matti non hanno fallito. Dopo La Classe morta di Tadeusz Kondor della scorsa edizione, questa volta è Peter Weiss e il suo lavoro metateatrale su Marat e Sade a entusiasmare un pubblico che non riesce a smettere di applaudire.
Un grande lavoro sul testo quello di Nanni Garella, in scena all’Arena fino al prossimo 26 ottobre. Un lavoro di regia però, che alla testocentricità non sacrifica novità e interpretazione.
«E voi, pensate che la Rivoluzione sia finita?»
Giuseppe Parasporo
[Immagini: Giuseppe Parasporo Ph e di Raffaella Cavalieri Ph (arenadelsole.it)]
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