Una conclusione di Stagione lirica al Teatro Coccia di Novara realmente discutibile. Quella a cui abbiamo assistito venerdì 15 dicembre non pareva certo una prima, ma al massimo una generale. La musica de La bohème è trascinante e la storia sicuramente è stimolante. Inoltre, essendo un’opera corale dove tanti personaggi svolgono ruoli significativi, è difficile
Una conclusione di Stagione lirica al Teatro Coccia di Novara realmente discutibile. Quella a cui abbiamo assistito venerdì 15 dicembre non pareva certo una prima, ma al massimo una generale.
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La musica de La bohème è trascinante e la storia sicuramente è stimolante. Inoltre, essendo un’opera corale dove tanti personaggi svolgono ruoli significativi, è difficile che il risultato sia così opinabile, ma sappiamo bene che non tutte le torte vengono col buco.
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Ma scomponiamo le parti per comprendere meglio perché un giudizio tanto negativo.
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Della regia di Marco Gandini, abbiamo apprezzato il secondo atto e l’ultima scena del terzo atto dove percepiamo un buon equilibrio dei volumi e una buona organizzazione degli spazi. In particolare l’ultima scena risulta intensa, trascinante: funzionale, dunque, la scelta di spogliare la scena e lasciare solo una poltrona dove adagiare Mimì in fin di vita. Poco curato risulta invece il movimento delle masse della fine del secondo atto, dove emerge una reale confusione e una non chiara considerazione degli spazi veramente ristretti, non idonei alla quantità di figuranti e coristi presenti.
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Gradevoli le scene di Italo Grassi, realmente belli i costumi di Anna Biagiotti, mentre non sempre pertinente la direzione delle luci di Ivan Pastrovicchio, che avrebbe potuto dare maggiore spessore emotivo a quanto proposto.
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La direzione di José Luis Goméz appare solipsistica: il maestro venezuelano stimola in modo poco chiaro l’Orchestra Filarmonica Italiana che pare muoversi senza un nocchiero convincente. Difatti, non è sempre abile a riportare le aperture della partitura pucciniana e riesce ad emergere solo nel finale. Inoltre il direttore è poco attento al rapporto tra buca e cantanti: il Coro As.Li.Co. e il Coro delle Voci Bianche del Teatro Sociale di Como, istruiti dal M. Massimo Fiocchi Malaspina, anche per questo, non convincono, e risultano imprecisi in più punti. Disintonato pure l’intervento della voce bianca. Graziosa e colorata, invece, la partecipazione della Banda Filarmonica di Oleggio.
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Gravi limiti si registrano nel cast. I solisti mediamente non sono all’altezza del proprio ruolo.
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Valentina Mastrangelo ha indubbiamente una vocalità interessante e si muove degnamente nella complessa partitura pucciniana, ma appare preoccupata di far bene tecnicamente e tralascia l’intensità patetica del personaggio di Mimì, pieno di contraddizioni che dovrebbero emergere in un’interpretazione consapevole. I suoi filati non sono soddisfacenti e ciò non le permette di inserire la sua performance in quel mood di sospensione previsto. Attorialmente è ancora immatura.
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Bisogna ammettere che la Signora Mastrangelo non è certo ben affiancata e sostenuta. Difatti, Mario Rojas non appare per nulla all’altezza del ruolo di Rodolfo. Non vanta una solida tecnica, la sua voce è spesso nasalizzata, i suoi acuti sono instabili ed è impreciso in diversi momenti. In sintesi, è un belloccio che cerca disperatamente il suo posto in scena. Per fortuna in più occasioni veniva sostenuto e anche coperto dall’orchestra. Tale ruolo pucciniano ancora è lontano da lui: insistere in questo repertorio è prematura, a nostro avviso.
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Il debutto di Eleonora Boaretto è soddisfacente. Sicuramente buono il suo squillo e gradevole la vocalità: avremmo desiderato che la sua Musetta osasse di più e che potesse espandere maggiormente la voce, che a nostro avviso, c’è.
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Opportuna e regolare la performance di Simone Alberghini. Il suo Marcello scenicamente funziona molto bene, mentre vocalmente avremmo gradito maggiore proiezione: la voce pareva ingolata. Buono il suo fraseggio.
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Le pagine di insieme tra i quattro protagonisti non risultano ben armonizzate: sono poco chiare e non arrivano.
Italo Proferisce, nei panni di Schaunard,risulta scenicamente valido: si muove bene e con intenzioni sempre precise. Dal punto di vista vocale porta a casa il risultato, senza troppe imprecisioni.
Abramo Rosalen è, invece, un Colline privo di spessore. Scenicamente immaturo e musicalmente ancora troppo acerbo. La sua interpretazione di Vecchia Zimarra, senti è didascalica e priva di pianezza e rotondità: passa senza suscitare la minima emozione. Non riteniamo la sua vocalità idonea al ruolo.
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La performance di Matteo Mollica è regolare e pertinente nel doppio ruolo di Alcindoro e Benoît mentre veramente poco funzionale Zheng Hui nei panni di Parpignol.
Si torna a casa non soddisfatti e chiedendosi perché uno spettacolo di tale basso spessore…
Annunziato Gentiluomo
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