Al Teatro Carlo Felice di Genova, domenica 20 febbraio 2022, è andata in scena la tragedia lirica in due atti Anna Bolena di Gaetano Donizetti, su libretto di Felice Romani, il cui allestimento è realizzato in coproduzione tra la Fondazione Teatro Carlo Felice e il Teatro Regio di Parma. Il plauso più grande va sicuramente ai solisti che hanno tutti dato provata di grande professionalità e arte.
Al Teatro Carlo Felice di Genova, domenica 20 febbraio 2022, è andata in scena la tragedia lirica in due atti Anna Bolena di Gaetano Donizetti, su libretto di Felice Romani, il cui allestimento è realizzato in coproduzione tra la Fondazione Teatro Carlo Felice e il Teatro Regio di Parma.
Il plauso più grande va sicuramente ai solisti che hanno tutti dato provata di grande professionalità e arte.
La direzione di Sesto Quatrini è stata nel complesso regolare. Non è stato capace di trascinarci nel dramma, limitandosi a un’esecuzione accademica priva di guizzi e originalità, anche se ha ben gestito il rapporto tra la buca e i cantanti che, a nostro dire, si sono da lui sentiti sostenuti e valorizzati.
Non sempre convince appare la regia di Alfonso Antoniozzi, sicuramente non arricchita dalle scene discutibili e dai video design stentati di Monica Manganelli. Mancava la naturalità dello stare sul palco: il tutto appariva artefatto con una gestione degli spazi e soprattutto delle relazioni tra protagonisti spesso poco coerente. Questo suo puntare sulla maschera nel gioco, tra essere e apparire, non è parso funzionale a porre, come si era prefissato, una lente d’ingrandimento “teatrale” sugli stati d’animo dei personaggi, ma bisogna riconoscergli di aver saputo rendere fruibile e comprensibile allo spettatore odierno il lessico ottocentesco.
Volutamente kitsch i costumi di Gianluca Falaschi, che se fossero stati più semplici sarebbero risultati funzionali e non avrebbero forse ingessato alcuni movimenti scenici, portando addirittura la signora Meade a cadere. Dignitosa la coreografia di Luisa Baldinetti, forse un po’ ripetitiva e non a tratti poco funzionali le luci di Luciano Novelli.
La prima delle “tre regine” donizettiane è stata sapientemente incarnata da Angela Meade, stella indiscussa del Metropolitan di New York. Acuti incredibili, filati lunghissimi, fiati interminabili, tecnica ineccepibile, voce sinuosa e ricca: queste le doti della Signora Meade che ha interpretato il dramma di Anna Bolena con maestria e naturalezza, muovendosi con grazia in tutti i moti emotivi del personaggio del titolo e danzando con morbidezza sull’impervia tessitura. All’altezza del ruolo anche John Osborn, tenore di fama internazionale, che ha ben caratterizzato Lord Riccardo Percy, facendoci percepire la sua passione, la sua dedizione e soprattutto i suoi ideali. Voce ben proiettata, lama squillante, capace di muoversi con competenza nel registro acuto e in quello grave, buon fraseggio: peccato il breve momento di esitazione per la memoria di un paio di versi. Vista la sua notevole prova, perdonabile, ma necessario l’appunto. Sonia Ganassi ha ben reso, soprattutto nel secondo atto, il ruolo di Giovanna Seymour): non siamo molto “innamorati” della sua voce che riteniamo ruvida, poco sinuosa, ma le riconosciamo tecnica e personalità scenica, caratteristiche con cui riesce a portare a termine sempre bene il proprio compito. Molto valida la versione di Enrico VIII firmata da Nicola Ulivieri, la cui classe, la cui eleganza e la cui dominanza dello strumento vocale e del suo corpo tutto sono evidenti. Valido fraseggio, vocalità profonda e verve artistica gli hanno permesso di ben rendere il cinismo e l’autoreferenzialità politica del suo ruolo. Molto buona è risultata l’interpretazione di Marina Comparato che ha reso con grazia e attenzione il personaggio di Smeton, tratteggiando con vocalità aggraziata e tecnica solida le sue evoluzioni. Buona la performance di Roberto Maietta che ha ben interpretato il ruolo di Lord Rochefort e ben curata quella di Manuel Pierattelli nei panni di Sir Hervey.
Il coro, sia quello femminile sia quello maschile, istruito da Francesco Aliberti, non è stato, invece, all’altezza del ruolo. Mancava di smalto, si trascinava e non aveva la corposità che ci si aspetta. Si è provato poco? Il risultato della mascherina a cui si è obbligati dalla pandemia?
Abbiamo trovato, infine, decisamente provinciale e a tratti grottesco l’intervento di ringraziamento prima della ripresa del secondo atto, interrotto, a circa metà, dall’incidente, per fortuna con poche conseguenze, della Signora Meade per cui è si è ricorso addirittura a un occhio di bue. Bastava da dietro le quinte annunciare il momento di disagio, tranquillizzare il pubblico in modo più moderato e meno teatrale e poi riprendere in linea con The show must go on!
Annunziato Gentiluomo
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