L’8 settembre scorso riesco a prendere nuovamente parte alla funzione domenicale di Anima Universale a Leinì dopo diverso tempo, date le vacanze estive che, solo fisicamente, mi avevano tenuto lontano da quel luogo sacro. Sono sempre inondato da un senso di pace trovandomi lì, ma quella domenica percepivo fossimo realmente tutti più vicini. Mi sovviene
L’8 settembre scorso riesco a prendere nuovamente parte alla funzione domenicale di Anima Universale a Leinì dopo diverso tempo, date le vacanze estive che, solo fisicamente, mi avevano tenuto lontano da quel luogo sacro.
Sono sempre inondato da un senso di pace trovandomi lì, ma quella domenica percepivo fossimo realmente tutti più vicini. Mi sovviene il verso di Matteo Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono lì in mezzo a loro (Mt 18, 20). Era evidente, alla mia percezione, la presenza di Cristo.
Dopo una prima invocazione alla Vergine Maria affinché orientasse le nostre azioni e ci proteggesse da ogni male conosciuto e sconosciuto, inizia il Darshan potente, luminoso e trasformatore come sempre. Quegli occhi e quel sorriso di Swami Roberto sono impressi nella mia mente e nel mio cuore, e poi il suo modo di purificare e di abbracciare ti trascinano in una dimensione altra, divina direi.
Ritornato sull’altare ci ha invitato a riflettere su un problema spirituale che colpisce e mette molto in crisi tanti di noi: il silenzio di Dio. Lo fa partendo dalla Bibbia, e precisamente dal Libro di Giobbe: Vado a est, ma il Signore non c’è. Vado a ovest, ma non lo incontro. A Nord non lo vedo anche se è all’opera. Neanche a Sud lo trovo se si nasconde. Però la via che io prendo lui la conosce.
Dal brano sembra che Dio giochi a nascondino, un gioco però che non diverte noi uomini che abbiamo bisogno di Lui e che iniziamo a pensare di essere sbagliati, di averLo offeso in qualche modo, di aver fatto qualcosa di male e di aver errato. Tale silenzio a molti induce dello smarrimento perché si sentono terribilmente soli e hanno paura. Cadono in uno stato di notte perenne dove vivono l’abbandono, la solitudine, la lontananza da Dio. Ma se invece ci concentrassimo sul però la via che io prendo lui la conosce riusciremmo a capire che la Sua presenza è comunque con noi e questo Suo modo di fare è terribilmente rispettoso nei nostri confronti. Dio, per Sua natura, infatti, ci lascia liberi, non è imposizione. Ci ama a tal punto da mettersi da parte, da non imporci nulla, da nascondersi, da cadere talvolta in un mutismo assoluto. Il Sommo Controllore, il Grande Padre è perfettamente consapevole che in molti manchi la devozione nei Suoi confronti, giacché si è più orientati a concentrare la nostra attenzione all’universo, alle energie, a certe ritualità, che rappresentano Sue conseguenze, ma che non sono Lui. Ci si ricorda di Lui nel dolore e nella paura: ciò significa che la nostra tensione verso di Lui non è costante, non è una pratica che ci accompagna in tutti i momenti. Dio può avere il volto di Cristo, di Myriam, di Krishna, di Buddha, ma in pochi Lo seguono devotamente, costantemente. Dio ha scelto l’invisibilità così che nessuna forma può catturarlo. Lui è, semplicemente è.
La Bibbia riconosce nella gelosia una delle Sue caratteristiche: quindi Dio è geloso e lo è in quanto spera che ogni uomo lo desideri, spera che, attraversa la Sua assenza, ciascuno di noi possa cercarLo, invocarLo e bramarLo, e in tal modo ricollocarlo nel posto che Egli merita, ovvero al centro della vita di ognuno.
Il Suo nascondersi ha anche un altro significato. Dio non vuole che nessuno rimanga incastrato in questa realtà egoistica e materiale. Attraverso il desiderio di Lui, attraverso questa “divina” tensione l’uomo si eleva e si purifica dalle negatività, dagli schemi di questo piano, dalla stessa dualità. Riconosce di non essere il suo corpo. Più è grande il suo desiderio di Dio, più ha l’occasione per innalzarsi da questa realtà.
Le vie che Dio ha pensato per ciascuno sono imprevedibili, ma tutte sono orientate dal Suo amore, sono dei doni per elevarci, per salvarci e per liberarci da questo stato. Il suo mutismo è una di queste vie vissute anche da diversi santi. Francesco d’Assisi, per esempio, sperimenta il mutismo di Dio, questa drammatica percezione della Sua assenza, per poi raggiungere una profonda unione col divino. Pure un’altra anima meravigliosa ha vissuto questa solitudine. Infatti, nel ’49, cominciando l’opera che Gesù le aveva chiesto, Madre Teresa di Calcutta inizia un periodo di profonda oscurità nella sua anima. Con l’inizio del servizio ai poveri cala su di lei un’oscurità opprimente, una grande prova interiore che rappresenta uno stato permanente che l’ha accompagnata fino alla morte e che l’ha portata persino ad affermare: C’è tanta contraddizione nella mia anima: un profondo anelito verso Dio, così profondo da far male, e una sofferenza continua, e con essa la sensazione di non essere amata da Dio, di essere rifiutata, vuota, senza fede, senza amore, senza zelo… Il Cielo non significa nulla per me: mi sembra un luogo vuoto!
Anche anime così evolute hanno sperimentato con dolore misto però a una fiducia assoluta questo mutismo. Al momento di sconforto hanno preferito guardare dentro se stessi, rivolgersi a quel Dio che abita pure nella Coscienza, e fidarsi totalmente del fatto che Dio, qualsiasi via avessero preso, sarebbe stato con loro perché Lui la conosce. Ecco la rivelazione. Ecco la manifestazione dell’Amore più grande.
Inoltre, in conclusione, Swami ricorda che gli insegnamenti di Anima Universale sono un antidoto a questo mutismo perché in essi risplende sempre la Luce di Dio che ci ama. Tali insegnamenti non possono lasciarci in balia del vuoto perché orientano il nostro agire, al pari di una bussola, verso Dio che risiede anche nel nostro cuore. Tali insegnamenti asciugano le nostre lacrime, celebrano il Cristo Risorto e ci liberano dalle sensazioni di non avere fede, di essere rifiutati e di non essere amati da Dio e di averlo lontano. Nella Sua divina pazienza Lui è sempre lì, con le braccia aperte pronto a donarsi, pronto a sollevarci, pronto a farci evolvere. Sarà la tempesta a consentirci di volare ancora più in alto con Lui. Quanta grazia! Quanta virtù! Quanta Divina Conoscenza!
E alla fine Swami ci saluta con un canto in ebraico che recita queste parole:
Padre mio che sei in cielo, dall’anima io ti invoco.
Sovente dimentichiamo la strada e abbiamo fatto anche degli errori.
Ma Tu non lasciarci mai, noi siamo i tuoi figli.
Tu sei il Padre che ci ama e ci sostiene quando soffriamo.
Ti invochiamo, Padre, nei nostri cuori.
Vieni in nostro soccorso, Signore dell’Universo, Ribono Shel Olam.
Grande e totale intensità.
Ho voluto andare a salutarlo prima che lasciasse il Tempio e, come sempre, mi ha accolto col suo sorriso e con i suoi occhi luminosi dicendomi: Te l’ho detto ieri che va tutto bene!
Un’ulteriore prova della Sua grandezza. Tramite Ramia Roberto, mi aveva, difatti, suggerito delle pratiche e soprattutto mi aveva rassicurato.
Grato a Dio per aver così fisicamente vicino un’Anima sì evoluta, un’Anima che sta servendo al meglio questo piano di esistenza, stillando in ciascuno quella Conoscenza capace di farci fare quel salto quantico che stiamo da tempo aspettando.
Annunziato Gentiluomo
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