Si può decidere di affrontare una corsa per molti motivi, per mettersi alla prova, per sfidare i propri limiti o per sentire sulla pelle l’emozione del traguardo, della fine che arriva dopo un percorso duro, ma che si è riusciti a compiere vincendo la fatica. Quel che è certo è che Gianfranco Tartaglino ha avuto
Si può decidere di affrontare una corsa per molti motivi, per mettersi alla prova, per sfidare i propri limiti o per sentire sulla pelle l’emozione del traguardo, della fine che arriva dopo un percorso duro, ma che si è riusciti a compiere vincendo la fatica.
Quel che è certo è che Gianfranco Tartaglino ha avuto un motivo in più per correre la Ultra Trail Bolivia, un motivo scritto chiaro sulla maglietta che ha usato per affrontare questa gara e si chiama One More Life.
One More Life è una Onlus, associazione che porta direttamente gli aiuti dove servono senza costi e senza intermediari.
L’Associazione è attiva soprattutto in America Latina e in Africa.
Proprio in Bolivia l’associazione è particolarmente attiva e segue il Centro del Bimbo Denutrito a San Carlos, nella regione di Santa Cruz de La Sierra e a Santa Cruz, struttura che accoglie oltre 100 ragazze dai 4 ai 18 anni che hanno subito violenze e sostiene molti altri progetti.
E’ dunque da annoverare tra quegli incontri che sembrano non avvenire per caso, quello tra questo avvocato appassionato di sport, e la solidarietà.
Una gara dura, da cui è tornato più leggero di 3 chili, portandosi dietro però il ricordo di quello che non è solo un evento sportivo, ma un’esperienza con sé stessi e con la Bolivia a trecentosessanta gradi.
Gianfranco Tartaglino si è conquistato il quarto posto alla prima edizione dell’Ultratrail Bolivia, la gara in cui ha percorso 175 km in autosufficienza nel deserto salato boliviano. Il primo posto è andato ad un ragazzo di 28 anni di Taiwan, il secondo e il terzo a due italiani: Katia Figini e Adriano Giacomelli.
180 chilometri in 6 tappe, 5 delle quali a 4000 metri d’altezza sull’altipiano boliviano, con temperature che di notte possono arrivare a 15 gradi sotto lo zero.
Un’avventura che comincia con l’atterraggio all’aeroporto di La Paz a 4100 m di altitudine e che continua con la scoperta di quella zona della Bolivia, un primo impatto forte per l’atleta.
“Quando abbiamo attraversato la città di La Paz ho avuto l’impressione di trovarmi in una grande favela. La città è caotica e le persone sono perlopiù poverissime. Per molte di loro la strada è casa. Guardandomi intorno, un senso di abbandono mi ha come investito. Un grande numero di case sono lasciate in costruzione, mentre quelle finite hanno il tetto in lamiera o, se ti allontani dalla città, di paglia. Alzando gli occhi in su è facile vedere i tralicci dell’elettricità carichi di grovigli di fili, mentre le uniche strade asfaltate sono quelle del centro cittadino.”
Da La Paz i 20 atleti partecipanti, sono stati condotti in pullman alla città di Salinas. Arrivati dopo 10 ore di viaggio a un’altitudine media di 3600 metri è stata chiara subito la fatica che si prova a fare una piccola salita o più semplicemente, a camminare per un periodo prolungato. Prima di affrontare la gara sono stati perciò necessari alcuni giorni di acclimatamento.
Gianfranco Tartaglino precisa che “Dai 3500 m di altitudine in su si rischia anche l’edema polmonare, per questo con noi sono partiti quattro fuoristrada con a bordo anche una camera iperbarica. E’ stata la prima edizione e non si sono mai fatte prima d’ora corse nel deserto salato, in più era inverno ed è stato necessario capire come il fisico reagisse a questa molteplicità di fattori.”
Nello zaino tutto l’essenziale, cibo liofilizzato, kit di primo soccorso e indumenti termici non troppo ingombranti, così gli atleti sono partiti alla volta delle prime tre tappe nel deserto salato, per un totale di 72 km in tre giorni.
“Abbiamo girato intorno ad un vulcano in un paesaggio che definirei lunare. In lontananza molte alture che per effetto della luce che dà il miraggio, apparivano come sospesi, come fossero isole. Di notte la temperatura scendeva dai -2 ai -6 gradi e l’accampamento veniva circondato da picchetti luminosi perché segnalassero la presenza in una zona che è terra di trafficanti di droga che sono soliti a viaggiare a fari spenti per non essere individuati.”
“In un paese in cui faccio fatica a vedere prospettive di sviluppo, mi sono reso conto dell’importante azione umanitaria che svolge la One More Life e di quanto poco ci sia in Bolivia.”
In questo poco che rasenta il nulla, ogni cosa acquista importanza e ogni forma di sostegno alla popolazione è fondamentale.
Di questa esperienza che è molto di più di una semplice gara, all’atleta resteranno tramonti e stellate irripetibili, nuove amicizie nate in gara e la consapevolezza di avere corso per un motivo in più.
Alessia Conti
[immagini di Jerome Lollier-Canal, Canal Aventure e Alessandro Tocco]
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