Una prima ben riuscita quella del Rigoletto al Teatro Regio di Torino di mercoledì 6 febbraio. Un notevole spettacolo ben accolto, sostenuto e applaudito da un pubblico attento che si è lasciato stimolare e incuriosire da un’interpretazione scenografica molta suggestiva. Infatti sicuramente un’ambientazione gotica dove la penombra, la spettralità e il preromantico sono stati gli elementi
Una prima ben riuscita quella del Rigoletto al Teatro Regio di Torino di mercoledì 6 febbraio. Un notevole spettacolo ben accolto, sostenuto e applaudito da un pubblico attento che si è lasciato stimolare e incuriosire da un’interpretazione scenografica molta suggestiva. Infatti sicuramente un’ambientazione gotica dove la penombra, la spettralità e il preromantico sono stati gli elementi fondanti. Molto intenso il gioco di chiaroscuri con dei tocchi leggerissimi di oro in alcuni momenti. Una regia cinematografica, attenta a rispettare nei minimi dettagli il libretto anche se ci saremmo aspettati qualcosa di più personale che facesse onore a una firma, come quella di John Turturro, regista del calibro di Martin Scorsese, Spike Lee, Woody Allen, Francesco Rosi e i fratelliCoen. Quindi un debutto tiepido il suo nel mondo dell’opera, forse rispettoso di un’arte che poco conosce. Buona comunque la struttura dei momenti di interazione tra i protagonisti, mentre meno precise sono apparse le dinamiche di insieme anche perché spesso arricchite e a volte un po’ appesantite da momenti coreografici, curati da Giuseppe Bonanno, soprattutto al palazzo del Duca. Intensa e interessante è apparsa la ricostruzione della fatidica notte della tempesta: una sorta d’identità spettrali impersonavano tutte le forme della perfidia dell’uomo, tutte le più terribili e basse smanie dell’uomo creavano dei movimenti. Probabilmente la punizione soggettiva, la vendetta, il delitto, la maledizione, l’onta e soprattutto le paure diventavano lo sfondo della risoluzione diabolica pensata dal buffone di corte. Ma alla fine Gilda salva colui che ama in un atto di espiazione collettiva per cui comunque chiede perdono al padre. Anche le scene di Francesco Frigeri hanno una valenza simbolica precisa che ben si amalgama con il decadente e grottesco XVIII secolo, dove il regista ha voluto ambientare il dramma: monumentale la sala del Duca di Mantova; solo accennata ma comunque funzionale la casa di Gilda; diroccata la locanda di Sparafucile, un rudere messo in diagonale a indicare comunque qualcosa che cozzava rispetto a una linearità dello sviluppo degli eventi, altro quindi rispetto a come sarebbe dovuto andare la vicenda secondo i piani di Rigoletto: quella struttura già preannunciava un altro clinamen, un nuovo funesto percorso. Tutta la scenografia ha creato inoltre spazi e livelli di azione diversi attraverso il ricorso a tulle, a fondali cangianti. L’allestimento è stata caratterizzato da una buona gestione delle luci curate da Alessandro Carletti che propone percorso che va dai toni lividi di un mondo fastoso, ma monocromatico nella sua mancanza di moralità, al rosso della passione e della tragedia, in particolare nel finale emozionante e coinvolgente, e dai bei costumi di Marco Piemontese e dall’efficace trucco e parrucco perfettamente in linea con questo mood gotico.
La direzione di Renato Palumbo, dopo un inizio poco chiaro, è risultata nel complesso attenta e puntuale: il maestro ha saputo accarezzare ogni parte, seguendo perfettamente l’idea registica con cui ha creato un’intensa sinergia, una bella fusione tra la sepolcralità scenica e i cambi di colori musicali. Buono il rapporto tra la buca e i solisti: l’orchestra non è mai sta né troppo né troppo poco. Inoltre tutti i componenti della compagine musicale del Regio di Torino hanno saputo ben eseguire sia le parti solistiche sia quelle di insieme e rendere così omaggio alla partitura verdiana. Solido anche il Coro del Teatro Regio sempre compatto e vocalmente preparato, istruito da Andrea Secchi, che è stato capace di riempire e sostenere.
Passando poi a solisti, Ruth Iniesta ha saputo incarnare tutte le espressioni di Gilda, una figlia legata al padre, una giovane donna che scopre l’amore, una donna che viene violata e che sceglie la strada del perdono nonostante si consumi davanti ai propri occhi la bassezza dei costumi di colui che ama per salvare il quale sceglie, in modo consapevole, la morte. Dotata di voce adamantina, di una tecnica eccezionale e di una certa agilità che le permette di muoversi in modo convincente sia nel registro più grave sia in quello più acuto, ha interpretato con cura tutti i complessi passaggi della partitura verdiana.
Di grande personalità il Rigoletto di Carlos Álvarez, potente baritono che abbiamo già più volte avuto modo di apprezzare. La sua bella vocalità, il suo ottimo fraseggio e la sua imponente verve scenica gli hanno consentito di rendere molto bene la complessità del personaggio del buffone, tratteggiandola in modo originale e personale. Nonostante l’inizio incerto legato alla parte più satirica del personaggio, ad un certo punto il baritono ha manifestato tutta la sua arte, raggiungendo momenti di grandissima intensità drammatica ed eseguendo un finale a dir poco magistrale, dove è stato in grado di esprimere tutta la disperazione di un padre che vede spegnersi la figlia tra le braccia per un suo perverso piano.
Un Duca di Mantova, quello di Stefan Pop, non sempre tecnicamente convincente. Abbiamo registrato delle imperfezioni a livello di tenuta di voce, nonostante l’indiscutibile bellezza dello strumento. Siamo coscienti di quanto sia arduo tale ruolo, forse uno dei più complessi per il registro tenorile. Il rumeno ha nel complesso ben caratterizzato il suo personaggio offrendoci una vivacità apprezzabile e muovendosi con disinvoltura in scena.
Molto interessante la voce rotonda, profonda e piena di Gianluca Buratto che ha interpretato con precisione il ruolo di Sparafucile. Buona la performance di Paolo Maria Orecchia che ha ben tratteggiato la figura di Marullo. Carmen Topciu, nonostante una notevole vocalità, è stata altalenante nell’interpretazione di Maddalena: molto convincente nel registro acuto, debole in quello grave. Non diremmo sia il personaggio capace di valorizzare l’artista dal punto di vista squisitamente vocale, in quanto scenicamente ha mostrato invece una chiara e perfettamente idonea sinuosità. Debole e poco energico è parso invece Alessio Verna nei panni di Monterone: la sua vocalità di baritono diremmo brillante poco si è adattata allo spessore drammatico e alla cavernosità del registro di questo personaggio che nonostante le poche pagine a lui dedicate rappresenta a nostro avviso un comprimario significativo che punteggia la drammaturgia dell’opera.
Regolari le interpretazioni di Carlotta Vichi (Giovanna), Luca Casalin (Matteo Borsa), Riccardo Mattiotto (usciere) e Ashley Milanese(il paggio), mentre altalenanti quelle di Federico Benetti (conte di Ceprano) e Claudia De Pian(contessa di Ceprano).
Nel complesso un allestimento che ha saputo emozionare, avvolgere e coinvolgere pienamente i presenti nel dramma verdiano.
Annunziato Gentiluomo
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