Un impatto visivo importante. Una volontà chiara di dare voce alle realtà suburbane, con tutti i contrasti culturali e sociali che li contraddistinguono. Una struttura in ferro su più piani. Ecco in sintesi la struttura de La bohème con cui il Teatro Regio di Torino apre la sua stagione operistica. Torri metalliche scorrevoli con la
Un impatto visivo importante. Una volontà chiara di dare voce alle realtà suburbane, con tutti i contrasti culturali e sociali che li contraddistinguono. Una struttura in ferro su più piani. Ecco in sintesi la struttura de La bohème con cui il Teatro Regio di Torino apre la sua stagione operistica. Torri metalliche scorrevoli con la mansarda dei protagonisti distribuita in tre vani e con l’ingresso del Caffè Momus simile agli scompartimenti di un treno che giunge in stazione. I tetti di Parigi, i condomini popolari, i quartieri freddi e quasi anonimi delle periferie. Le routine quotidiane che appiattisco l’esistenza. Su queste articolate scene di Alfons Flores si inserisce, valorizzandole, la regia assolutamente fedele e di grande impatto di Àlex Ollé. Molto è richiesto ai protagonisti, che rispondono alle indicazioni del regista catalano in modo impeccabile. Impattante il primo atto che fila via fluido: è colorato e frizzante con le majorette e la banda, e con la sensualissima Musetta. L’intensità drammatica cresce proprio la musica. Molto suggestiva la scena dell’ultimo quadro in cui Colline e Schaunard litigano in un vano e Rodolfo e Marcello nell’altro, dopo aver giocato insieme. E il finale è veramente intenso. Tutto grigio, tutto soffre, tutto è in lutto, e la luce è solo su Rodolfo al capezzale di Mimì spirata. Le eccellenti luci firmati da Urs Schönebaum seguono e danno spessore a quanto si realizza in scena, contribuendo ad esaltare i contrasti dell’ambientazione. I costumi di Lluc Castells invece permettono di estendere il dramma in modo trasversale. L’amore, l’amicizia sono valori senza tempo come anche la morte, condizione universale.
Regia e musica sono in perfetto equilibrio. La prima è perfettamente amalgamata alla seconda. La direzione di Gianandrea Noseda è intensa, partecipata e tratteggia ogni singolo quadro della partitura. Forse più sinfonica, ma sempre assolutamente precisa e ben sostenuta, capace di seguire l’evoluzione emotiva serrata che l’opera prevede. Il Maestro si misura veramente da grande interprete con la complessità di questo melodramma dal linguaggio profondamente novecentesco. Un grande plauso a lui e ai violini primi e secondi e ai flauti semplicemente divini.
Buona la prova del Coro del Teatro Regio di Torino e del Coro delle voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio Giuseppe Verdi istruiti da Claudio Fenoglio. Entrambi sono impegnati in importanti passi nell’opera e sostengono con cura i solisti.
Passando al cast, l’allestimento ha potuto contare su quattro eccellenze del panorama internazionale. Notevole la prova di Irina Lungu che ha vestito con maestria i panni di una Mimì determinata, forte delle proprie convinzioni e diretta in ogni suo incedere. Il suo fraseggio elegante, l’ottima linea di canto e il dolce timbro le hanno assicurano una grande prestazione e il plauso del pubblico.
Eccellente la prova di Giorgio Berrugi che interpreta con maestria e grande pathos il personaggio di Rodolfo. Una voce potente ricca di armonici e sfumature, una decisa emissione, un timbro caldo, un bel colore, un’ottima linea di canto e una grande espressività gli permettono di interpretare con disinvoltura il proprio ruolo. Con la sua partner scenica raggiungono il culmine dell’intensità drammatica in uno struggente terzo atto, dove entrambi generosamente offrono il proprio dramma agli accorsi alla recita.
Decisamente convincente la prova di Massimo Cavalletti che interpreta all’italiana la parte di Marcello. Un timbro caldo e generoso, una voce potente e rotonda, una notevole fluidità, una grande musicalità e l’assoluta sicurezza del suo canto gli permettono di tratteggiare con precisione il pittore pucciniano.
La sudafricana Kelebogile Besong interpreta in modo ineccepibile la sensualissima Musetta, liberando il personaggio dagli accenti di soubrette da cui è spesso caratterizzata. Il suo talento, la sua tecnica e la bella vocalità le consentono di colorare con naturalezza il suo ruolo. A nostro avviso poca intensa l’invocazione alla vergine, dovuta probabilmente anche al fatto che il suo movimento, distraeva la nostra attenzione e forse anche quella della cantante.
Buona la performance di Benjamin Cho che ben rende, vocalmente e scenicamente, con una certa generosità artistica, il musicista Schaunard.
Regolare la prova di Gabriele Sagona che veste i panni del filosofo Colline. Non pregnante la sua versione dell’aria Vecchia Zimarra.
Gran bella voce per Matteo Peirone (Benoît) e corrette le parti minori con il Parpignol di Cullen Gandy, il Sergente dei doganieri di Mauro Barra e un doganiere di Davide Motta Fré.
Veramente un bello spettacolo, un inizio stagione per l’ente lirico torinese a cinque stelle.
Annunziato Gentiluomo
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