Oggi i riflettori di ArtInMovimento Magazine sono puntati su Angelo Fernando Galeano, un controtenore e didatta italiano. Laureato con lode presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, si è specializzato con i migliori artisti internazionali nel campo della vocalità barocca e con grandi didatti inglesi nella didattica della voce artistica. Si è esibito in ogni
Oggi i riflettori di ArtInMovimento Magazine sono puntati su Angelo Fernando Galeano, un controtenore e didatta italiano.
Laureato con lode presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, si è specializzato con i migliori artisti internazionali nel campo della vocalità barocca e con grandi didatti inglesi nella didattica della voce artistica. Si è esibito in ogni parte d’Italia, in Francia e Spagna, collaborando con gruppi come La Venexiana, l’Accademia Bizantina, l’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste, l’Orchestra 1813, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana, l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali, la Stresa Festival Orchestra, l’Orchestra Barocca di Bologna, l’Orchestra Barocca di Novara, l’Orchestra del Teatro Coccia di Novara, La Terza Prattica, Ars Cantica Choir and Consort, Il Concento Ecclesiastico, l’Accademia degli Astrusi, e con direttori come Gianandrea Noseda, Marco Berrini, Ottavio Dantone, Stefano Montanari, Claudio Cavina, Rita Peiretti, Antonello Manacorda, Paolo Faldi, Massimiliano Toni, Luca Franco Ferrari, Federico Ferri e ha inciso per le etichette Tactus, Naxos e Concerto.
Come didatta e Vocal Trainer è attivo stabilmente a Torino e Milano e tiene seminari di vocalità teatrale, sia essa Barocca, Opera o Musical Theatre. Segue come coach e preparatore vocale numerosi artisti della scena teatrale italiana e produzioni teatrali.
È docente di Tecnica Vocale presso la Scuola di Formazione Attore dell’Accademia dello Spettacolo di Torino.
Ma vediamo cosa ci racconta.
In primis, come si è accostato al canto? Succede spesso che si passi dallo studio dello strumento al canto?
Ho iniziato a cantare giovanissimo nel coro del Conservatorio quando studiavo flauto traverso e contrabbasso, ma la vera folgorazione è avvenuta ascoltando la mia prima opera, la “Carmen” di Bizet nella registrazione della Callas con Georges Pretre e Nicolai Gedda del ’64.
Conosco moltissimi colleghi che come me si sono approcciati in età post adolescenziale allo studio professionale del canto provenendo dallo studio di uno o più strumenti. Personalmente ritengo che sia la strada migliore, poiché si ha la possibilità di formare l’orecchio e la musicalità in giovane età per poi intervenire sullo strumento voce solo quando la muta è quasi completamente terminata e la musicalità non è più solo a livello embrionale.
Trovo pericoloso per la salute vocale e psicologica dei ragazzi in età adolescenziale lo studio professionale del canto su uno strumento non ancora perfettamente formato e muscolarmente debole: si rischia di rovinare voci potenzialmente meravigliose o di creare aspettative che la natura sovente disattende una volta completato lo sviluppo della persona.
A suo avviso, è fondamentale per un artista essere diplomato al conservatorio? La formazione accademica è una conditio sine qua non dell’affermazione del cantante?
Il Conservatorio è un posto magico dove si respira un’aria speciale, si conoscono gli amici e i colleghi di una vita, si viene formati da grandi professionisti, si arricchisce la propria formazione non solo vocale, ma soprattutto teorica e, nei casi più fortunati, teatrale. Se non si ha la fortuna di provenire da un ambiente familiare particolarmente stimolante si può trovare nei compagni di conservatorio una seconda famiglia. Ma la formazione accademica non è assolutamente vincolante per l’affermazione di un cantante. Quello che conta è trovare un Maestro da cui apprendere una tecnica saldissima e una versatilità stilistica importanti, che non deve essere obbligatoriamente un cantante famoso, bensì un grande didatta, tale da rendere l’allievo, durante il percorso di studi, sempre più indipendente. Successivamente è fondamentale perfezionarsi con quante più personalità artistiche di calibro è possibile per assorbire come delle spugne tutta la loro esperienza.
Recentemente il percorso del conservatorio si è fortemente modificato, saprebbe indicarci come e quali sono, secondo lei, i punti di forza del nuovo sistema?
Onestamente non trovo punti di forza ma solo grandi lacune. Nella preparazione dei corsi preaccademici, nella trasparenza burocratica, nella frammentazione delle discipline e nella riduzione degli orari, mi sembra ormai che si vada verso una totale assimilazione con l’università, finalizzata al solo sapere teorico e non verso il mantenimento di una tradizione di trasmissione di saper fare da maestro ad allievo. Troppo spesso i corsi funzionano più per buona volontà del docente che per meriti della struttura che li ospita.
La sua tessitura vocale è sicuramente molto ricercata. Ce ne può parlare?
Il controtenore è una delle vocalità più antiche. Nasce come contralto nella musica sacra e tutt’oggi è una vocalità diffusissima nelle grandi “scholae cantorum” esclusivamente maschili, nei paesi anglosassoni soprattutto. Nei cori maschili il Soprano è affidato alle voci bianche, e le voci Alto, Tenore e Basso a uomini adulti. Quindi il controtenore non è assolutamente un surrogato di una vocalità femminile né tantomeno un esercizio di stile innaturale o artificilale. Non si fa il controtenore, si è controtenore per fisiologia e allenamento. Il controtenore inoltre non appartiene alla categoria dei cosiddetti “falsettisti“, poiché emette pochissime note della sua estensione nel registro comunemente e volgarmente detto di falsetto.
Che differenza quindi intercorre tra un controtenore e un sopranista/contraltista?
La differenza è nello strumento, nella laringe, e nell’uso della stessa. Un controtenore nasce controtenore, ha cioè di natura la laringe più acuta con cui un uomo può nascere, quella storicamente detta, appunto, di contraltino, e imparando a usarla in modo stilisticamente appropriato può optare per la tessitura tenorile più leggera e acuta in assoluto, come quella rossiniana, oppure, con qualche differente accorgimento tecnico, per la tessitura contraltile, specie nella musica sacra del ‘600 e primo ‘700 che è una miniera pressoché inesauribile di repertorio per questo tipo di voce.
Il sopranista invece (o il contraltista, la sua variante più scura e meno estesa, ma decisamente più diffusa, spesso confusa col controtenore ) non nasce contraltino, ma molto spesso possiede una laringe baritonale, più raramente da basso o tenore, e utilizza quindi il falsetto, opportunamente allenato, per la quasi totalità della sua estensione contraltile, rendendo di fatto la voce simile a quella di una donna, ma timbricamente più androgina. In questo senso contraltisti e sopranisti sono effettivamente di diritto ascrivibili alla categoria dei falsettisti.
Possiamo dire che contraltisti, sopranisti e controtenori sostituiscano la tessitura dei castrati?
Come abbiamo detto, il controtenore ha una letteratura scritta appositamente per questo tipo di voce naturale e quindi non necessita di sconfinare nella letteratura per castrato.
I contraltisti e sopranisti invece sono perfetti surrogati della vocalità degli evirati cantori, e, personalmente, li trovo insostituibili: salvo rarissime occasioni, infatti, è sempre deludente vedere una donna nei panni di un uomo affrontare un ruolo scritto per un uomo, seppur castrato. Certo per poter affrontare ruoli scritti per i più grandi cantanti del Settecento, si pensi a Farinelli su tutti, non basta un sopranista qualsiasi, ci vogliono dei fuoriclasse, che uniscano un talento vocale fuori dal comune e una musicalità e una competenza stilistica di prim’ordine.
Sfatiamo, già che ci siamo, un luogo comune una volta per tutte: a teatro i ruoli scritti per gli evirati cantori erano nella quasi totalità ruoli maschili ed eroici, si pensi a Giulio Cesare, Rinaldo, … Quindi un castrato in panni muliebri è stata cosa rarissima, se non per “divertissement” occasionale.
In sporadici casi, come per i ruoli scritti per i castrati Senesino o Berenstadt – castrati contralto dalla voce particolarmente scura e grave – un controtenore può affrontare senza troppa difficoltà la loro tessitura pur non essendo un contraltista.
Come ci si sente a ricevere una critica come quella di David Shengold, di Opera News di New York, secondo il quale è attualmente uno dei migliori Tolomeo mai registrati?
È stato questo uno di questi casi, in cui io, un controtenore, ho affrontato, dal vivo e in disco, un ruolo originariamente composto per Gaetano Berenstadt, un evirato cantore contralto.
Con mia grande sorpresa, quel disco (Giulio Cesare in Egitto, Handel) ha avuto una grande diffusione all’estero, è stato radiotrasmesso dalla BBC, ma in Italia è stato praticamente introvabile sin dalla sua uscita sul mercato.
La particolarità di quel disco è la testimonianza, rara e forse unica, di un’esecuzione del Giulio Cesare di Handel con tutti uomini nelle tre parti maschili originariamente per castrato. Mi piace pensare che quando ho inciso quel disco eravamo in pochi in Italia ad affrontare questo repertorio ad un certo livello, ma oggi è sicuramente più facile trovare un bravo contraltista che possa incidere quel ruolo meglio di come abbia fatto io ormai dieci anni fa.
È stata la sua migliore interpretazione?
Sicuramente no. Sento di avere molta più predisposizione per il repertorio sacro, nonostante abbia ricordi meravigliosi dell’esecuzione live (purtroppo non testimoniata in disco) di quel “Giulio Cesare” con Renata Scotto sorridente in prima fila.
Ho molti bei ricordi accumulati in solo quindici anni di attività; un meraviglioso “Stabat Mater” di Pergolesi e un altrettanto meraviglioso “Miserere” di Galuppi eseguiti entrambi a Venezia nella Chiesa della Pietà, in cui ha insegnato e vissuto Vivaldi, il secondo in prima esecuzione assoluta in tempi moderni; un “Vespro della Beata Vergine” di Monteverdi a Roma in Santa Maria Maggiore, e ormai centinaia di altre serate memorabili. Il compito di un artista è dare il meglio di sé ogni giorno. Spero vivamente di aver mantenuto ogni volta e in ogni luogo uno standard qualitativo all’altezza dell’enorme responsabilità di far rivivere capolavori inestimabili della civiltà musicale occidentale.
Ne siamo sicuri! Ma da esecutore e interprete a vocal trainer… come ci si sente a rivestire entrambi i ruoli?
È una grande fortuna! Si fa il pieno di emozioni da entrambe le prospettive del teatro. Devo dire però che ultimamente preferisco il secondo ruolo: ho scoperto che la gioia di vedere in scena artisti talentuosi dopo un percorso di studio, più o meno lungo o faticoso, è di gran lunga più appagante, per come mi vedo oggi e per come mi vedo nei prossimi trent’anni, della gioia di essere esecutore. Da esecutore ho un solo strumento, e quindi una tavolozza limitata di possibilità espressive. Come vocal trainer il mio apporto alla musica è decisamente più ampio, aiutando altri artisti, tutti strumenti diversi. Quindi le tavolozze e gli stili si moltiplicano, ed è meraviglioso.
Tecnicamente insegnare canto lirico e canto per musical, come sta facendo sapientemente lei, è molto diverso?
Il canto nel Musical Theatre è discendente diretto del canto operistico italiano esportato in Inghilterra e poi trasformatosi in quello che è oggi nel corso di più di un secolo. Le conoscenze tecniche e fisiologiche necessarie per insegnare entrambi sono, di base, le stesse, poi ogni stile di canto teatrale va approfondito immergendosi nell’ambiente più stimolante possibile per ognuno. Per questo ribadisco sempre la differenza sostanziale fra tecnica e stile.
La mia formazione di base come esecutore è stata incentrata sull’Opera Italiana e poi sul Barocco. Ho sempre avuto sin da ragazzino una grande passione per il Musical Theatre: negli ultimi anni sto approfondendo direttamente alla fonte la didattica per questo repertorio presso Arts Educational Schools di Londra, una delle più importanti accademie del mondo per questo repertorio, il cui presidente è Andrew Lloyd Webber in persona, grazie a una bellissima amicizia che mi lega con quell’istituzione e i grandissimi professionisti che dedicano la loro vita alla formazione dei migliori “performer” inglesi.
I suoi prossimi progetti?
Concerti, fra cui uno molto particolare, a cui tengo tanto, di duetti scritti per due controtenori; un disco di arie sacre per contralto che vorrei vedesse la luce entro il 2016; tanti artisti talentuosi da aiutare; il disco dell’ultima commedia musicale prodotta da Accademia dello Spettacolo, Solo chi sogna, da completare il questi giorni; un manuale di tecnica vocale da terminare che giace intonso sul desktop del mio computer da troppo tempo; e un invito graditissimo ricevuto dal ventennale del Convegno internazionale La Voce Artistica come relatore in un talk show intitolato Skills for Musical Theatre.
Annunziato Gentiluomo
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