Adoro camminare a piedi nudi. Mi piace la sensazione di contatto come una condivisione del mio essere con la terra. Immediatamente ciò che si apprende è togliersi le scarpe prima di entrare a piedi nudi in qualsiasi luogo che in Birmania è considerato sacro. Può essere la sfarzosa dorata Swedagon Paya o il più semplice
Adoro camminare a piedi nudi. Mi piace la sensazione di contatto come una condivisione del mio essere con la terra.
Immediatamente ciò che si apprende è togliersi le scarpe prima di entrare a piedi nudi in qualsiasi luogo che in Birmania è considerato sacro. Può essere la sfarzosa dorata Swedagon Paya o il più semplice tempio di mattoni rossi in rovina della piana di Bagan, ma la regola rimane sempre la stessa. E dopo un po’ non ci si fa più caso e diventa un’azione automatica abbandonare le sottili infradito birmane sulla soglia, così come viene, come li lascia cadere il piede sfilandole, ordinate perché vicine, disordinate perché non riposte rigidamente parallele. Le grandi pagode dorate della Birmania sono un luogo di ritrovo in tutti i sensi. Ci si dà appuntamento, ci si incontra, si dedica del tempo alla preghiera e al tempio stesso e si ritrova se stessi. Capire che il marmo del pavimento sotto il sole si scalda di più dove è nero lo comunicano i piedi nudi e si intuisce così che la cosa migliore è trovarsi un posto all’ombra e sedersi e aspettare che qualcosa succeda. Non ci vuole molto per comprendere che tutto quello che succede intorno è completamente diverso da quello che accade nei luoghi di culto occidentali. Gesti lenti e cadenzati del capo di un uomo in preghiera, le volute di fumo delle bacchette d’incenso tenute tra le mani unite inebriano di profumo e si perdono tra le folate di vento che fanno tintinnare le oltre 4000 campanelle dorate del tempio. Una donna anziana lava la statua posta in uno degli otto punti planetari che rappresentano gli otto giorni della settimana della cosmologia buddista, quello che rappresenta il suo giorno di nascita. Lo fa con cura, irrora tutto con acqua pulita, e con dolci carezze pulisce la statua che poi adorna lasciandole al collo una ghirlanda di fiori. Un inchino di ringraziamento e lenta si allontana incrociando una fila di uomini e donne che, quasi in una danza perfettamente coordinata, muovono all’unisono delle semplici scope per spazzare il pavimento. Un’altra voluta di incenso e lo sguardo si alza verso il cielo per ammirare la sommità dello stupa e gli occhi si socchiudono a contrastare l’intensità della luce del cielo. Un gruppo di donne, con il viso ornato di pasta di legno di sandalo per proteggersi dal sole, sono sedute a terra; ridono e parlano animatamente e i bambini, alcuni a carponi sul pavimento, gironzolano intorno. Il via vai di gente, il loro vociare, il descrivere cattedratico delle guide ai turisti, il rumore di sottofondo della città e tutto che assume (se si ha voglia di percepirlo) un aspetto di completa tranquillità unita alla spiritualità del luogo. E il tempo si dilata, cambia il suo scorrere e ci si rende conto che passa quando il posto che abbiamo scelto per sederci all’ombra ora in realtà è in pieno sole. Ma chi si è reso conto che lo stupa che conserva 8 capelli del Buddha è coperto da (si stima) 53 tonnellate d’oro e che alla sua sommità c’è un diamante di 76 carati? Sarà inestimabile il valore della Swedagon Paya, ma ancora più inestimabile è il valore delle emozioni che riesce a trasmettere questo paese se solo cerchiamo di vedere e non solo guardare.
Paolo Bono
[Fonte dell’immagine: http://www.tucanoviaggi.com]
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