Il Forte di Bard è un luogo suggestivo, ve ne abbiamo parlato quest’estate e ci siamo tornati ieri, a pochi giorni dalle festività natalizie. Il borgo medievale del paese è una unica grande mostra di presepi, a ogni finestra, porta o portone, anche nelle fontane. Bello, poetico nel suo silenzio, in una giornata uggiosa che
Il Forte di Bard è un luogo suggestivo, ve ne abbiamo parlato quest’estate e ci siamo tornati ieri, a pochi giorni dalle festività natalizie.
Il borgo medievale del paese è una unica grande mostra di presepi, a ogni finestra, porta o portone, anche nelle fontane. Bello, poetico nel suo silenzio, in una giornata uggiosa che metteva voglia di stare in casa, con l’odore inconfondibile della legna che bruciava nelle stufe e nei camini.
L’occasione per salire fin lassù era l’inaugurazione delle nuove mostre, dopo venti giorni di chiusura per lavori straordinari di manutenzione. World Press Photo, ospitata nelle sale delle Cantine, risultato del più importante concorso internazionale di fotogiornalismo, organizzato dal 1955 dalla World Press Photo Foundation. L’esposizione si compone di 130 foto, le più belle e rappresentative, che per un anno intero hanno accompagnato e documentato gli avvenimenti dalle pagine dei giornali di tutto il mondo. Il percorso espositivo è suddiviso in sezioni, corrispondenti alle categorie del concorso: vita quotidiana, protagonisti dell’attualità, notizie brevi, notizie generali, natura, storie di attualità, arte e spettacolo, sport. L’immagine premiata come foto dell’anno per il 2013 è stata quella di John Stanmeyer di VII Photo Agency. È uno scatto notturno che ritrae alcuni migranti africani lungo la costa di Gibuti, mentre cercano con il cellulare di captare il segnale delle vicine coste somale per poter parlare con i propri cari. Lo stato di Gibuti è una tappa consueta per i migranti in transito da Somalia, Etiopia, Eritrea, in viaggio verso l’Europa e comunque verso il sogno di un futuro migliore.
Ritroviamo il viaggio, sebbene in altre forme, nelle foto di Josef Koudelka.
Lasciate le toccanti immagini di questa prima mostra, infatti, l’autore stesso ha onorato della sua presenza l’inaugurazione del percorso espositivo a lui dedicato. Non è cosa consueta poter avere l’autore presente in occasione di un’inaugurazione, ma stavolta si tratta addirittura di un’anteprima mondiale. Vestiges, questo è il titolo, è il resoconto di oltre 20 anni di viaggi nel Mediterraneo da parte di Koudelka, divenuto famoso per aver raccontato con i suoi scatti il ’68 della città di Praga.
Introdotto da Gabriele Accornero e accompagnato da Lorenza Bravetta, direttrice delle attività commerciali di Magnum Photos per l’Europa continentale, Koudelka ha spiegato al pubblico – numerosissimo, molti in piedi in sala – il senso della raccolta presentata al Forte.
“Io non fotografo architettura. Non fotografo archeologia. […] Fotografo il paesaggio che emerge […] il paesaggio all’origine delle nostre culture europe”. Campeggiano sui muri delle sale molte frasi come questa, citazioni di Koudelka che, oltre a essere un grande fotografo, riesce anche a esprimere con le parole la sintesi e la profondità che trasmette nelle immagini. Si percorre l’Europa antica, la storia alla portata di tutti nelle vallate e sulle colline dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Italia, Francia, Spagna, Tunisia, Algeria, Libia, Siria, Turchia, Albania, Grecia… Ci si perde in una dimensione che travalica l’appartenenza al luogo ritrovando una comunanza nell’appartenenza al tempo, almeno questa è la sensazione che ha trasmesso a me. La storia dello stesso Josef Koudelka è una storia che, per necessità e per scelta, lo ha portato a divenire cittadino del mondo. Una retrospettiva sulla sua opera in corso negli Stati Uniti è stata intitolata ND, che significa in lingua inglese nationality doubtful cioè di nazionalità dubbia. Questo allude alle carte di transito con le quali ha viaggiato per un periodo anche lo stesso Koudelka quando, agli inizi della sua carriera, ha accompagnato a lungo e documentato i gitani cecoslovacchi, vivendo anch’egli senza un passaporto che potesse certificare la sua nazionalità. Meglio sarebbe dire “nationality is doubtful” – dice lui oggi. Mettere cioè in discussione il concetto stesso di nazionalità. Perché “esiste una sola Terra e siamo tutti cittadini di questa Terra, non ha importanza da dove proveniamo”. C’è tempo fino al 6 gennaio per visitare la mostra World Press Photo e fino a maggio per Vestiges, e il mio consiglio è di non perdervele, ne vale la pena.
Chiara Trompetto
[Immagini: ArtInMovimento, fortedibard.it]
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