Ormai è imminente la prima de La bohème diretta da Gianandrea Noseda e Àlex Ollé con cui il Teatro Regio di Torino inaugurerà la stagione lirica 2016-2017. Domani, mercoledì 12 ottobre, alle ore 20.00. Tra i protagonisti di questa produzione vi è Massimo Cavalletti che interpreterà il personaggio di Marcello, uno dei ruoli con cui è
Ormai è imminente la prima de La bohème diretta da Gianandrea Noseda e Àlex Ollé con cui il Teatro Regio di Torino inaugurerà la stagione lirica 2016-2017. Domani, mercoledì 12 ottobre, alle ore 20.00.
Tra i protagonisti di questa produzione vi è Massimo Cavalletti che interpreterà il personaggio di Marcello, uno dei ruoli con cui è stato apprezzato di più e che più volte l’ha visto in scena. Tanti, infatti, sono stati i prestigiosi teatri del mondo in cui Cavalletti ha vestito i panni di questo personaggio pucciniano. Tra questi ricordiamo il MET di New York e al Teatro alla Scala negli allestimenti di Zeffirelli, al Festival di Salisburgo con la Netrebko (disponibile su DVD/Blu-Ray), alla Dutch National Opera di Amsterdam, al Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia (pure disponibile come DVD/Blu-Ray). Inoltre dopo Torino tornerà a New York proprio come Marcello. Un ruolo quindi che conosce molto bene…
È anche un interprete verdiano (Ford nel Falstaff, Don Carlo in Ernani, Renato ne Il ballo in maschera). Lavora molto con Zubin Mehta con cui ha debuttato Renato ne Il ballo in maschera l’anno scorso in Israele (m-cavalletti).
Ha una voce calda, rotonda, piena, forse una tipica “voce italiana”.
Siamo riusciti a intervistarlo…
Dal 2004 sulla scena… quali sono le tappe fondamentali di questi dodici anni?
Tappe fondamentali ce ne sono state molte direi. Certamente il mio rapporto con il Teatro Alla Scala iniziato nel 2005 con il mio primo Schaunard. Adesso, forse, sembra un po’ strano dirlo, ma in undici anni di collaborazione col teatro milanese, vi ho cantato quasi cento recite in sedici produzioni.
Una lunga collaborazione che ha attraversato tre diverse amministrazioni e direzioni artistiche. Quindi questa è stata sicuramente una tappa fondamentale.
Altro incontro che ha reso possibile la mia crescita come artista e come uomo è stato quello con Alexander Pereira, un incontro che ha cambiato la mia vita e mi ha dato tantissimo: ho sempre risposto con la mia presenza a ogni sua chiamata e sempre mi sono fatto in quattro per ogni progetto che mi ha proposto. Nella mia carriera non ho mai cancellato una recita, ho sempre cantato e ho sempre dato sicurezza e solidità alle mie prestazioni. Gli altri incontri sono tutti o quasi derivati da questi due importanti momenti, che mi hanno reso possibile lavorare con tutti gli artisti del roster e con i grandi maestri e registi che fanno adesso parte del mio bagaglio artistico. Un altro momento che ha decisamente cambiato la mia vita è stato nel 2010 quando, in meno di due settimane, cantai La bohéme al MET e poi Albiani in Simon Boccanegra a Zurigo, Berlino e poi al Teatro Alla Scala con il maestro Barenboim e Placido Domingo. Insomma mi resi conto di essere in grado di dominarmi e gestirmi in tutto. Fu un momento molto emozionante e importante: passare in quattro dei più importanti teatri del mondo in meno di quindici giorni mi fece sentire davvero sulla strada della mia affermazione.
Tra i suoi maestri chi ha lasciato un’evidente traccia che l’ha reso il baritono che è ora?
Per prima cosa vorrei evidenziare la preparazione e lo studio che ho fatto nei miei primi anni col maestro Graziano Polidori a Lucca: quegli anni mi hanno permesso di capire e accrescere il mio amore per il canto lirico e il teatro e la mia professionalità. Poi l’incontro con la Maestra Leyla Gencer e con la Signora Luciana Serra con le quali ho affrontato e migliorato la mia interpretazione e soprattutto incrementato la mia tecnica, specie l’uso del fiato e della respirazione.
Dopo l’Accademia della Scala, più che maestri in sé sono iniziate molte bellissime collaborazioni: ho avuto la fortuna di lavorare in teatro con i migliori cantanti del panorama mondiale e sentendoli cantare e confrontandomi con loro sul palco e nel dietro le quinte ho potuto crescere nel canto e nell’approccio ai ruoli e agli stili.
Ricordo specialmente negli anni di Zurich il mio lavoro col maestro Leo Nucci durante le tante recite di Simon Boccanegra: in quell’occasione ho avuto modo di chiarire molti interrogativi legati, in particolare, alle note intorno al passaggio.
Ma non posso tralasciare i consigli del maestro Ruggero Raimondi e anche le indicazioni di Carlos Chausson.
Voglio dire, in estrema sintesi, che lavorare con questi grandi interpreti della mia stessa corda mi ha dato modo di avere un’incredibile opportunità di crescita. E ringrazio sempre di averli conosciuti.
Ha interpretato più volte il ruolo di Marcello (La boheme) che la vedrà impegnato dal 12 ottobre al Teatro Regio di Torino. Cosa può dirci di questo personaggio e dell’orchestrazione che Puccini gli riserva?
Sono ormai vicino alle cento recite di Marcello. Penso che questo anno durante le recite del MET a novembre raggiungerò questo traguardo. Marcello è un personaggio ostico perché, pur essendo presente e attivo in tutti gli atti, non ha una sua aria e nemmeno un suo vero e proprio assolo. Canta e aiuta tutti con grande generosità, amore e amicizia, invincibilmente speranzoso e sempre positivo.
Puccini gli affida una orchestrazione particolare perché molto spesso, proprio nelle frasi importanti, dove può sfociare la voce e legare, viene sempre raddoppiato dall’orchestra specie dagli ottoni. Anche nel bellissimo duetto del quarto atto con Rodolfo, all’inizio, quando quest’ultimo canta la sua prima frase, l’orchestra accompagna con una sincope stentata di archi e corni, assolutamente un velluto quasi impalpabile, lasciando tutta la linea alla voce del tenore, mentre all’ingresso di Marcello aggiunge tutti gli archi a raddoppiare e rafforzare la linea del canto. Stessa cosa succede nel secondo atto durante la famosa frase gioventù mia raddoppiata dagli ottoni specie sugli accenti tonici della parola. Per evitare di perdere suono, senza superare l’orchestra, è andare proprio contro quegli accenti, evidenziando più la linea e aspettare che il forte degli ottoni svanisca. Quindi uscire proprio quando la linea torna nel centro della tessitura dove certamente anche l’armonico dà più giustizia alla linea sostenuta dagli archi.
In generale Marcello deve calcolare sempre bene come e dove dare le energie, altrimenti rischia di cantare tutto molto e di non raccogliere per quanto ha seminato.
Quali sono gli aspetti più interessanti di questo allestimento firmato Alex Ollé e Noseda?
Siamo di fronte a un tentativo di rileggere tutta “La bohéme” in chiave molto più concertata e legando orchestra e canto. Una versione di “La bohéme” più asciutta, meno legata alla tradizione e assolutamente in punta di bacchetta. Il maestro Noseda, legge l’opera per quello che in fondo è un miracolo di orchestrazione e porge la musica cercando di rispettare il più possibile le diciture Pucciniane, mettendo anche il canto al totale servizio della musica in sé. Ricordiamo che lo stesso Puccini è molto influenzato nella sua opera dai temi musicali piuttosto che dalle parole: la parola è al servizio della musica e dell’emozione che la musica garantisce. Lo stesso Puccini disse in occasione della prima dell’opera diretta dal maestro Toscanini che “La bohéme” era un miracolo musicale.
Credo che questo sia quello che si deve aspettare il pubblico torinese nel 120esimo anno dalla prima assoluta. Una riscoperta, come una prima lettura, un nuovo primo ascolto. Per quanto mi riguarda posso dire di prendere con piacere questa direzione: quando un direttore di questa levatura rilegge un’opera tanto suonata per me è solo una gioia poterla imparare di nuovo. Spero che anche il pubblico apprezzi questo distacco dalle consuetudini in fatto di ritmi e tempi spesso troppo dilatati e un po’ troppo smielati che perdono di vista quel ritmo pulsante proprio della gioventù, dell’amore e poi della fatalità della vita.
Il maestro Alex Ollé e il suo team hanno inserito “La bohéme” nella periferia di una grande città: oggi si può essere bohemienes non nel centro di Parigi (troppo caro anche per noi!!) ma nei sobborghi delle città dove gli studenti e gli stranieri vivono a stretto contatto con le famiglie, e dove puoi trovare i lavoratori meno abbienti e anche alcuni “borghesi” che preferiscono lasciarsi la città alle spalle.
L’ambientazione è imponente, tutta improntata su diversi livelli e pur essendo pesante rimane facile da utilizzare specie nel primo e nel quattro atto quando i quattro amici si divertono e si godono il loro loft di quattro stanze spoglio ma vivo.
Tutto è molto veritiero e giovanile. L’azione si sviluppa nel corso dei quattro atti con un senso di immutabilità e in una sorta di dilatazione infinita della vita, proprio come quando si è giovani. Poi tutto cambia quando l’orchestra chiude il rigodone con una strappata e tutto cade, la fine della gioventù e la morta di Mimì e anche i quattro giovani bohémiens si ritrovano adulti e constatano la fragilità della vita.
Reputo lo spettacolo molto piacevole e intelligente. Anche da questo punto di vista, mi auguro che il pubblico riesca a guardarlo con un occhio attento e come se fosse tutto nuovo. Non si tratta di una “La bohéme” della tradizione né musicalmente né tanto meno scenicamente, ma siamo di fronte a una bella storia d’amore, amicizia e vita vera. Questo è quello che vogliamo far passare al pubblico che verrà a vederci al Regio di Torino e che ci vedrà in streaming su Internet.
Dopo Torino quali saranno i prossimi suoi appuntamenti?
Come detto in precedenza, sarò ancora Marcello al MET in novembre per la regia storica di Franco Zeffirelli e sotto la bacchetta del mastro Marco Armilliato. Poi in gennaio sarò al Teatro alla Scala per un nuovo Falstaff edizione Salzburg 2013 di Damiano Michieletto e sotto la guida del maestro Zubin Mehta.
Sarà interessante vedere come il pubblico della Scala accoglierà la lettura del Falstaff data da Michieletto, un taglio decisamente diverso rispetto alla commedia vista negli spettacoli che recentemente sono stati fatti in Scala dell’opera Verdiana. Poi nel 2017 sarò ancora Rodrigo nel Don Carlo al Maggio musicale Fiorentino diretto da Zubin Mehta e debutterò a Amsterdam nel Gianni Schicchi come ruolo del titolo.
Ha mai pensato di dare lezioni di canto? Perché? Quali caratteristiche deve avere un insegnante, dal suo punto di vista?
In questo ultimo anno, ho avuto saltuariamente occasione di cimentarmi anche in questa difficilissima attività. Insegnare è una grande responsabilità, ci vuole molta dedizione e molta serietà. In primo luogo è molto importante non dare false speranze a giovani con limitate possibilità. A mio avviso, c’è troppa facilità nel dare lezioni di canto. Secondo me, si dovrebbe dare lezione, e quindi investire e far investire, solo a certe regole: quando riconosci una particolare musicalità, un certo tipo di strumento e anche spiccate doti artistiche che molto spesso già all’inizio dello studio si vedono.
Vorrei poter insegnare più in là, vorrei nella mia vita fare questa esperienza. Forse adesso sono ancora troppo giovane come artista e ho ancora bisogno di imparare, ma vorrei provare magari senza toccare troppo la tecnica ma dedicandomi maggiormente all’interpretazione di recitativi e personaggi del repertorio italiano a corde di baritono o basso. Spero che mi verrà data l’occasione ma per adesso lo faccio solo con giovani allievi che io reputo avere le qualità e che si fidano dei miei consigli. Il Maestro comunque ci deve essere nella vita dell’allievo: è un punto di riferimento, una persona che esprime saldezza e moralità, una persona che può essere presa a esempio per quello che riguarda l’arte e il teatro. Un maestro deve saper tirare fuori l’artista che sta nell’allievo e non voler replicare se stesso negli allievi che vogliono imparare da lui. Ogni cantante è un’opera a sé: troppe volte si sentono brutte copie di grandi del passato mentre, invece, si dovrebbe tirare fuori quello che siamo noi stessi, la nostra verità artistica. Solo allora passare una tecnica che funziona per tutti e poi interpretare usando il proprio materiale umano e vocale.
Qual è un ruolo che vorrebbe debuttare e perché se lo sente addosso?
I ruoli che mi interessano sono tanti. Sto studiando molto il repertorio Verdiano. Amerei uno qualsiasi dei tanti ruoli del grande musicista Bussetano, in particolare Conte di Luna, Don Carlo di Vargas, Renato, Don Carlo in Ernani o Ezio in Attila. Spero che presto il mondo del teatro me ne darà la possibilità. È davvero arduo levarsi di dosso gli appellativi e far capire che la voce e l’uomo sono pronti per un altro repertorio. Oggi si ragiona molto per scatole cinesi chiuse: uno è bravo in una cosa e fa solo quella. Sono pochi quelli che si prendono l’onore e l’onere di far debuttare o di lanciare artisti affermati in repertori diversi o trasversali… bisogna lottare e farsi trovare pronti quando passa il treno.
Annunziato Gentiluomo
[Foto di Victor Santiago e riprese dal Teatro alla Scala, dal MET, dal Teatro Grande di Brescia e dall’Amisano Teatro alla Scala. Alcune tratte da massimocavalletti.com]
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