Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. Come in molti sanno è così che Alessandro Manzoni dà inizio alla sua opera somma, I promessi sposi. Un testo storico che si può leggere anche come un inno alla Provvidenza di Dio che si esprime nella conversione dell’Innominato, nella pioggia che libera Milano dalla peste e nel matrimonio di Renzo e Lucia. Al centro della lectio domenicale di Swami Roberto di ieri, 26 gennaio, vi è stata appunto la Divina Provvidenza, definita “Madre misericordiosa”, “Madre generosa”, “Madre saggia” e “Madre premurosa”. Sono tutte accezioni al femminile, atte ad esprimere il lato più intimo, interiore di Dio che è sì padre autorevole e paziente, ma al contempo amorevole e sensibile.
L’intervento della Divina Provvidenza sa trasformare in bene anche le situazioni più negative e addirittura disperate sottolinea il Maestro che la appella come una verità che si estende in tutti i campi e in tutti i settori della nostra vita: nelle relazioni, nel lavoro, nella salute e nella finanza.
Troppo spesso ce ne dimentichiamo o facciamo finta che non ci sia, anche se agli occhi dei più sensibili i suoi prodigi sono evidenti e reali. Ce ne dimentichiamo perché siamo troppo presi da noi stessi: qualcuno perché ha molto sviluppato il proprio lato superomistico – “non ho bisogno di nulla e di nessuno” -, qualcun altro perché esprime maggiormente il proprio aspetto vittimistico – “sono tutti contro di me, non valgo e non servo a nulla, nessuno mi capisce”. Sia in un verso sia nell’altro non stiamo facendo spazio a Dio che invece ci ricorda Chiedete e vi sarà dato (Matteo, 7, 7). In quella richiesta di attenzione o di aiuto materiale o spirituale che noi rivolgiamo all’Onnipotente dobbiamo però mettere del nostro. Affinché la Divina Provvidenza possa agire serve, infatti, la nostra partecipazione, il nostro intento, la nostra energia, la nostra volontà. Che parola importante… La volontà è, secondo il dizionario, la facoltà propria dell’uomo di tendere con decisione e piena autonomia alla realizzazione di fini determinati. Il sommo poeta, Dante Alighieri, nel V Canto del Paradiso la definisce come Lo maggior don che Dio per sua larghezza fesse creando. È una forza capace di trasformare. È un atto che induce un cambiamento. È quella fermezza che aiuta a superare i propri limiti. Fondamentale per permettere a ciascuno di mantenersi all’interno della propria geografia spirituale, di non abbandonare la via della realizzazione.
Ritornando, però, al tema di domenica scorsa al Tempio di Anima Universale di Leinì, Swami Roberto chiarisce che mentre si chiede l’aiuto di Dio bisogna mettere tutto ciò che è in nostro potere, il nostro meglio avendo fiducia che quel che manca lo aggiunge sicuramente Dio che è Tutto e che è la massima espansione di tutte le qualità pensabili e non. Quindi è proprio l’unione tra il nostro impegno, la nostra volontà e l’azione della Divina Provvidenza che indirizza favorevolmente le situazioni da cui ci aspettiamo un esito positivo.
Inoltre – ed è da qui che Swami conferma l’importanza dell’impegno a cui ci sprona sempre – si concentra sul potere della preghiera che è il mezzo che hai a disposizione per invocare la luce di Dio dentro di te, nel tuo intelletto, nel tuo cuore, ma anche sulla Terra. Irradia la luce attraverso di te nello spazio affinché possa raggiungere chi soffre, possa incidere positivamente nel contesto mondo in cui viviamo, riducendo catastrofi e malattie. Nel Vangelo Gesù ci invita infatti a fare luce e il modo migliore e anche più semplice per farlo è proprio ricorrendo alla preghiera. Ogni qual volta ci rivolgiamo al Padre per le nostre necessità, ricordiamo anche tutti coloro che vivono nel bisogno, includiamo i problemi del mondo. Così facendo saremo sempre più irrorati dalla luce di Dio che ci utilizzerà come canali per raggiungere chi soffre, chi è in guerra, chi è malato, chi è solo, chi non si sente compreso. In tal modo la preghiera manifesta la sua rilevanza sociale: oltre a salvare il singolo, salva il mondo intero. In sintesi Swami ci ricorda che più diamo, più riceviamo. È questa un’equazione che ci fa guadagnare, in quanto Dio ci ripaga mille volte.
Il Maestro ci regala inoltre due mantra: Om Shrim Hamun puntualizzando che Shrim, parola sanscrita per invocare l’abbondanza, è una vibrazione divina capace di spezzare i pensieri limitanti e ciò che blocca nella vita l’esito positivo delle differenti situazioni, mentre Hamun è il termine ebraico corrispondente a Shrim che si usa per invocare l’abbondanza come frutto della benedizione di Dio; e Ang Sang Wahe Guru, ovvero L’energia dinamica e amorevole dell’Infinita Sorgente del Tutto sta danzando all’interno di ogni mia cellula che elimina i pensieri tormentosi e, se siamo sotto la pressione della paura, ci tiene vigili, coscienti e pronti ad agire.
Mentre rispetto al mio personale vissuto, posso solo aggiungere che è stato un darshan potentissimo e per me rivelatore. Nel primo passaggio Swami Roberto, guardando un amuleto tibetano che indossavo, mi dice con amorevolezza infinita e determinazione: Non ti umiliare dietro amuleti e non ti ridurre a contenuti mentali… Tu sei più grande! Durante l’aspersione, invece, mi prende le mani mentre erano in gassho e si ferma per un po’: ho percepito una potenza che vi si infondeva, un’energia che le guidava a fare bene, a incoraggiare e a stimolare negli altri il risveglio.
Alla fine della cerimonia, ci saluta con queste parole: Buona missione, portatori di luce e di energia divina. Aiutatemi ad aiutare. Ho sentito tale invito rivolto a me mentre in lontananza le ultime note della canzone del Gen Rosso Semina la pace che conosco bene e che mi ha anche fatto cantare davanti a tutti. Ma qualcuno mi crede se vi dico che avevo pensato che si sarebbe concluso con una canzone del famoso gruppo del Movimento dei Focolari?
Comunque, caro Roberto, io ci sono, io ci sono per te. Grazie per il tuo servizio e per l’amore che ci doni sempre.
Annunziato Gentiluomo
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